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Vita di Shirley
Mi immagino a cenare con Shirley Jackson, mentre ordiniamo una crema inglese e parliamo delle ossessioni dei recensori, fantasticando su dialoghi favolosi tra i bicchieri e i coltelli, le bottiglie e i piatti in tavola. A emergere da questo “Paranoia”, infatti, non è la scrittrice, ma la donna dietro la penna: una madre innanzitutto, che rincorre il tempo per stare dietro ai quattro figli, alla casa, alle idee fulminanti che la trafiggono mentre lava i piatti o spenna un pollo; la moglie che aiuta il marito con i suoi libri, i suoi articoli per i giornali, l’autrice che ritaglia manciate di minuti per ticchettare una storia sulla macchina da scrivere. “Paranoia” in effetti è un libro molto più lieve e delicato di quanto il titolo non faccia supporre, una sorta di zibaldone che accoglie al suo interno diverse sezioni: la prima, con quattro racconti tipicamente jacksoniani, attraversati come sono da una inquietudine sottile che si disperde un po’ nei finali troppo aperti; seguono poi pezzi di varia natura: brevi scene umoristiche a cavallo tra la realtà e la finzione, simpatici resoconti famigliari (la famiglia al ristorante, i figli disobbedienti, gli stratagemmi per mantenere la propria identità nonostante gli impegni), ma anche gustosi pezzi di sorridente ironia sui recensori di libri (e questo ci interessa tutti qui nel Qmondo!), sulla genesi di alcune delle sue storie, qualche conferenza tenuta sulla letteratura e sulla sua idea di scrittura. Insomma in fondo i racconti sono la parte meno bella di questo libro che ci sorprende perché fa scoprire la vitalità esuberante di una donna che magari il lettore si immagina cupa, inquieta, macabra. Al massimo Shirley Jackson è eccentrica, nel senso buono e affascinante del termine: crea mondi mentre carica la lavastoviglie, riempie la casa di post-it per non perdere un’idea, lotta contro la pagina bianca e non teme di dire “mi arrendo”, quando correre da una parte all’altra della vita diventa troppo. Se poi volessimo leggere in filigrana, potremmo anche vivere da dentro una famiglia americana degli anni ’50, con le sue storture maschiliste, ma anche con i suoi preziosi equilibri, ma non è questo lo scopo del libro: qui tutto si legge con sguardo aggraziato e confesso che raramente ho chiuso un libro con un senso così elettrico di positività.
C’è poi un giallo a sua volta jacksoniano che circonda questo libro: il materiale che qui è contenuto, infatti, proviene da un pacco che è stato recapitato, negli anni Novanta, a casa di uno dei figli dell’autrice. Un pacco ovviamente anonimo e contenente un grandissimo numero di scritti di cui nemmeno si sospettava l’esistenza. Dal lavoro di raccolta e rammendo, arricchito dalle ricerche degli eredi presso il fondo Shirley Jackson, è nato questo libro, dal titolo esplicativo “Let me tell you”. In fondo “Paranoia” è un’autobiografia che procede per ghiribizzi e scarabocchi, per rapide deviazioni e indomite divagazioni, un libro indocile, recalcitrante, ma in fondo coinvolgente come la sua autrice. E per una volta devo tirare le orecchie ad Adelphi che per pubblicare il libro con un titolo commerciale, ne tradisce in fondo la natura.
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