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Tamburellare la solitudine
È un labirinto di specchi infiniti quello che Dedalo ha costruito per il Minotauro, forme che ripetono altre forme, la stessa innocente e pura sagoma di una creatura sospesa tra l’umano e la bestia. Gesti che si ripetono in eterno, nello spazio illusorio di un mondo costruito tutto a immagine e somiglianza dell’essere che vi dimora, fragile, solo, abbandonato. Senza amici, senza tempo, senza poter capire che la vita è esile e basta anche solo la gioia a incrinarla. Labirinto fisico, labirinto di vetri, ma anche labirinto mentale, costruzione disperatamente e impossibilmente razionale con cui dare forma alla materia informe del caos. Il labirinto è una metafora, non un simbolo, non possiamo spiegarlo, solo accettarlo, perderci e disperderci negli anfratti nascosti dei suoi angoli più scuri. Il Minotauro è ontologicamente solo, unica creatura metà umana metà taurina, incapace di pensare, ma capacissimo di sentire il dolore dell’abbandono. Gli restano solo gli specchi, la sua immagine che non sa riconoscere, che si muove con lui, ride con lui, piange con lui. Gli specchi dunque, e i ragazzi che ogni nove anni Atene devolve in sacrificio. Vita nuova, persone nuove, per un attimo la felicità. E il Minotauro danza la sua gioia, danza la sua pace, danza la sua sincerità e mentre danza stringe troppo forte i suoi nuovi compagni. Non sa che un abbraccio troppo intenso può uccidere, che il filo che ci tiene stretti alla vita è così trasparente da essere invisibile. E così per sempre, solo di nuovo, nella sua umanità indicibile, nella sua bestialità inappellabile, finché Teseo, travestito da Minotauro a sua volta, non gli si fa incontro, riflesso che non risponde ai comandi e come nel mito più crudo, lo uccide; uccide il mostro che non sa di essere un mostro e chiude dolorosamente il labirinto e la sua storia.
La perfezione di questo racconto non è solo nella sua esplorazione degli abissi più scuri dell’uomo e della ragione, ma anche nello stile meraviglioso, ritmico e lirico che Dürrenmatt riesce a trovare. Come a fare eco alla moltiplicazione degli specchi e delle immagini, alla vertigine dello spazio, la prosa si fa battente, martellante, drasticamente anaforica, ricca di allitterazioni, giochi verbali, cocciute ripetizioni. L’effetto che ne segue è che lo spazio già amplio del labirinto, si fa ancora più esteso e, paradossalmente, claustrofobico e il lettore si perde davvero in questo tessuto abnormemente dilatato per avvertire con ancora più intensità, su di sé, il peso di ogni parola ribattuta, di ogni suono ritrasmesso, in una tensione che cresce, cresce e si acumina fino a ferire. Riporto per farvi capire:
“Si distaccò dalla parete, sbirciò pieno d’odio la sua immagine, e quella di lui, colpì col pugno destro, l’immagine col sinistro, i due pugni s’incontrarono, nuovo scambio di colpi con lo stesso risultato, e allora colpì con entrambi i pugni, e così fece anche l’immagine: infine tambureggiò sulla parete. Tambureggiò la sua rabbia, tambureggiò la sua smania di distruggere, tambureggiò il suo desiderio di vendicarsi, tambureggiò la sua voglia di uccidere, tambureggiò la sua paura, tambureggiò la sua ribellione, tambureggiò l’affermazione di se stesso, ma ad un tratto avvertì che quell’essere davanti a lui, che era un essere come lui, era il suo traditore”.
Eppure il libro si spinge un passo più in là. Chi è il lettore? Il Minotauro, perduto nella sua solitudine e incapace di amare senza ferire? O forse il lettore è Teseo, che deve travestirsi da Minotauro per poterlo uccidere, deve diventare mostro anche lui per eliminare quello che in lui è più forte di lui. Forse ognuno di noi ha il suo labirinto, il suo modo di sfuggire al mondo e forse tutti noi abbiamo dimenticato la compassione, la comprensione e ci scopriamo, ucciso il mostro, ancora più soli di prima. E tutto questo Dürrenmatt ce lo chiede in 40 pagine scarse. E mi pare un crimine che un libro come questo, miracolosamente perfetto nel suo intangibile incanto, non venga più pubblicato, almeno a quanto ho visto in rete. Se lo trovate, prendetelo: prima o poi lo leggerete ed entrerete anche voi nel vostro labirinto, un passo più fondo a voi stessi.
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Commenti
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Conservo un ricordo vividissimo di questo racconto e, potessi tornare indietro, assegnerei tutte le stelline :)
Grazie mille,
Manu
Non ho letto questo libro benché sia un estimatore dell'autore.
Sull'editoria italiana, tacere è bello. Siamo inondati da pubblicazioni presumo 'usa-e-getta', mentre risultano non reperibili (se non nelle biblioteche, se tutto va bene, opere di alto livello letterario.
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