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Il minotauro
 
Il minotauro 2020-01-21 20:13:22 DanySanny
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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    21 Gennaio, 2020
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Tamburellare la solitudine

È un labirinto di specchi infiniti quello che Dedalo ha costruito per il Minotauro, forme che ripetono altre forme, la stessa innocente e pura sagoma di una creatura sospesa tra l’umano e la bestia. Gesti che si ripetono in eterno, nello spazio illusorio di un mondo costruito tutto a immagine e somiglianza dell’essere che vi dimora, fragile, solo, abbandonato. Senza amici, senza tempo, senza poter capire che la vita è esile e basta anche solo la gioia a incrinarla. Labirinto fisico, labirinto di vetri, ma anche labirinto mentale, costruzione disperatamente e impossibilmente razionale con cui dare forma alla materia informe del caos. Il labirinto è una metafora, non un simbolo, non possiamo spiegarlo, solo accettarlo, perderci e disperderci negli anfratti nascosti dei suoi angoli più scuri. Il Minotauro è ontologicamente solo, unica creatura metà umana metà taurina, incapace di pensare, ma capacissimo di sentire il dolore dell’abbandono. Gli restano solo gli specchi, la sua immagine che non sa riconoscere, che si muove con lui, ride con lui, piange con lui. Gli specchi dunque, e i ragazzi che ogni nove anni Atene devolve in sacrificio. Vita nuova, persone nuove, per un attimo la felicità. E il Minotauro danza la sua gioia, danza la sua pace, danza la sua sincerità e mentre danza stringe troppo forte i suoi nuovi compagni. Non sa che un abbraccio troppo intenso può uccidere, che il filo che ci tiene stretti alla vita è così trasparente da essere invisibile. E così per sempre, solo di nuovo, nella sua umanità indicibile, nella sua bestialità inappellabile, finché Teseo, travestito da Minotauro a sua volta, non gli si fa incontro, riflesso che non risponde ai comandi e come nel mito più crudo, lo uccide; uccide il mostro che non sa di essere un mostro e chiude dolorosamente il labirinto e la sua storia.

La perfezione di questo racconto non è solo nella sua esplorazione degli abissi più scuri dell’uomo e della ragione, ma anche nello stile meraviglioso, ritmico e lirico che Dürrenmatt riesce a trovare. Come a fare eco alla moltiplicazione degli specchi e delle immagini, alla vertigine dello spazio, la prosa si fa battente, martellante, drasticamente anaforica, ricca di allitterazioni, giochi verbali, cocciute ripetizioni. L’effetto che ne segue è che lo spazio già amplio del labirinto, si fa ancora più esteso e, paradossalmente, claustrofobico e il lettore si perde davvero in questo tessuto abnormemente dilatato per avvertire con ancora più intensità, su di sé, il peso di ogni parola ribattuta, di ogni suono ritrasmesso, in una tensione che cresce, cresce e si acumina fino a ferire. Riporto per farvi capire:

“Si distaccò dalla parete, sbirciò pieno d’odio la sua immagine, e quella di lui, colpì col pugno destro, l’immagine col sinistro, i due pugni s’incontrarono, nuovo scambio di colpi con lo stesso risultato, e allora colpì con entrambi i pugni, e così fece anche l’immagine: infine tambureggiò sulla parete. Tambureggiò la sua rabbia, tambureggiò la sua smania di distruggere, tambureggiò il suo desiderio di vendicarsi, tambureggiò la sua voglia di uccidere, tambureggiò la sua paura, tambureggiò la sua ribellione, tambureggiò l’affermazione di se stesso, ma ad un tratto avvertì che quell’essere davanti a lui, che era un essere come lui, era il suo traditore”.

Eppure il libro si spinge un passo più in là. Chi è il lettore? Il Minotauro, perduto nella sua solitudine e incapace di amare senza ferire? O forse il lettore è Teseo, che deve travestirsi da Minotauro per poterlo uccidere, deve diventare mostro anche lui per eliminare quello che in lui è più forte di lui. Forse ognuno di noi ha il suo labirinto, il suo modo di sfuggire al mondo e forse tutti noi abbiamo dimenticato la compassione, la comprensione e ci scopriamo, ucciso il mostro, ancora più soli di prima. E tutto questo Dürrenmatt ce lo chiede in 40 pagine scarse. E mi pare un crimine che un libro come questo, miracolosamente perfetto nel suo intangibile incanto, non venga più pubblicato, almeno a quanto ho visto in rete. Se lo trovate, prendetelo: prima o poi lo leggerete ed entrerete anche voi nel vostro labirinto, un passo più fondo a voi stessi.

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Concordo con te, Daniele, racconto meraviglioso, che sta alla pari, nella sua perfetta costruzione metaforica, con "La tana" di Kafka. Anche se - come dici tu - non è più edito separatamente, lo si può comunque trovare nella raccolta di racconti edita da Feltrinelli, insieme a "La panne" e "La morte della Pizia".
Come sempre interessanti i tuoi contributi Daniele!
Conservo un ricordo vividissimo di questo racconto e, potessi tornare indietro, assegnerei tutte le stelline :)
Grazie mille,
Manu
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DanySanny
22 Gennaio, 2020
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Ah bene Giulio, buono a sapersi. Sono contento che almeno si possa trovare. Mi ha davvero emozionato devo dire. Dürrenmatt ha molto da insegnare sulle misure brevi, decisamente.
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DanySanny
22 Gennaio, 2020
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Sì Manuela, penso che lasci molto anche a distanza. Per altro, sulle stelline, anche io ero indeciso, ma poi ho avuto farle tutte, perché alla fine nella sua piccola misura, è proprio bello e perfetto.
Mi imbatto sempre più in questo autore che ancora non ho letto, nonostante la mia predilezione per la letteratura tedesca. Hai da suggerirmi un titolo dal quale partire? Questo per esempio non mi dispiacerebbe. Sulla recensione, che te lo dico a fare?! Splendida come sempre.
Daniele, recensore notevole!
Non ho letto questo libro benché sia un estimatore dell'autore.
Sull'editoria italiana, tacere è bello. Siamo inondati da pubblicazioni presumo 'usa-e-getta', mentre risultano non reperibili (se non nelle biblioteche, se tutto va bene, opere di alto livello letterario.
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DanySanny
22 Gennaio, 2020
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Hai ragion Emilio, davvero un peccato. Eppure questo non mi sembra un libro di nicchia, potrebbe e meriterebbe molto di più.
In risposta ad un precedente commento
DanySanny
22 Gennaio, 2020
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Ioana, per quanto intuisco dei tuoi gusti, potrebbero piacerti tutti e tre quelli che ho letto io (Il minotauro, La panne, La morte della Pizia), tutti molto brevi e tutti molto incisivi; dei tre forse La panne potrebbe essere quello più giusto per iniziare, anche se questo gli è, come stile e lirismo, superiore. Per altro credo che @Laura ne sappia più di me, perché lo ha recensito diverse volte in passato mi sembra!
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siti
22 Gennaio, 2020
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Ottima recensione, ma io questo me lo conservo gelosamente. Sì, mi rimangono da leggere i racconti, possiedo l'edizione citata da Giulio e dello svizzero posso dire che è imperdibile anche "La caduta" oltre a quelli che hai citato. Gli altri, per lo più romanzi, in un modo o nell'altro sono deludenti nella loro forma lunga, fatta eccezione per "il giudice e il suo boia" e "Il sospetto".
In risposta ad un precedente commento
DanySanny
22 Gennaio, 2020
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“La caduta” ispira molto anche me. Sono curioso anche dell’ultimo uscito, “La promessa”
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