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Il delitto paga (e pure bene!)
Jack Ritchie era fermamente convinto che ogni romanzo avrebbe avuto tutto da guadagnare da una sua riduzione in racconto, anche breve; forse perché lui padroneggiava benissimo la stringata lunghezza di storie fatte di pochi paragrafi nei quali riusciva a condensare un’incertezza, una poliedricità di situazioni idonee a spiazzare e sconcertare il lettore più e più volte.
Nel suo universo totalmente amorale è etico immaginare che un timido e ritroso cassiere possa rapinare la propria banca truffandone il direttore, troppo sospettoso e precipitoso nel trarre conclusioni. Che un malato terminale possa trascorrere gli ultimi mesi che gli restano da vivere ripulendo il mondo da un po’ di quei maleducati che lo infestano e che assillano la povera umanità che deve tollerarli. Che una truffa, soprattutto se elegante e ben progettata, meriti il successo. Che l’uxoricidio, entro certi limiti di decoro, sia una pratica non condannabile a priori e che, per evitare di restar vittima del killer di turno, si possa saltare il fosso e passare dalla parte dei mandanti di un omicidio.
Il questa gustosissima collana formata da dodici racconti, uno più imprevedibile e irriverente dell’altro, ci viene mostrata con gioiosa amoralità un’improbabile carrellata di situazioni nelle quali ciò che comunemente viene definito delitto altro non è che il modo più sbrigativo, pulito e drastico per risolvere una faccenda spinosa.
In nessuno dei racconti viene affermato il concetto che il crimine non paga, anzi, spesso, la remunerazione è piuttosto gratificante, soprattutto se lo scopo della storia è quello di sorprendere con un colpo di scena finale che rimescoli tutte le carte e strappi un’ultima risata liberatoria.
Lo stile, asciutto e senza fronzoli, ma fresco e stimolante, giunge sempre a segno coinvolgendo il lettore in una narrazione che non si riesce a interrompere sino alla conclusione, che giunge sempre, puntualmente, inaspettata, magari preceduta da una beffarda strizzatina d’occhi.
I personaggi sono tratteggiati con poche decise pennellate che, tuttavia, riescono a caratterizzarli a tutto tondo. Le storie, nella loro concisa semplicità, sono tutte deliziose.
Nel racconto eponimo (in origine: The Green Heart/The New Leaf), che fu sceneggiato per farne lo splendido film del 1971 ove brillano il cinismo di Walter Matthau e il candore di Elaine May (che ne curò pure la regia), solo un guizzo di romanticismo conclusivo evita il finale più noir. Negli altri racconti neppure questa scriminante è presente, ma proprio il candido disprezzo per il comune senso della legalità (se non proprio della giustizia) ne fa storie godibilissime e di puro divertimento.
Non conoscevo Ritchie che scopro solo ora essere stato pure uno degli sceneggiatori per i telefilm di Hitchcock, ma adesso, dopo questo primo assaggio, mi si è acceso un acuto desiderio di leggere altre sue opere. Purtroppo molte antologie sono ormai esaurite.