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Lasciate ogni speranza o voi che entrate
Il grande giornalista sportivo Bruno Raschi era uso definire le tappe ciclistiche in piano, decise solo allo sprint finale, come “il lungo prologo di una rapida, feroce, coltellata”. Questo volumetto edito dall'Adelphi ci mostra l’equivalente letterario di quella coltellata a tradimento.
Nei quattro brevi racconti (nessuno più lungo di una ventina di pagine) Shirley Jackson, musa ispiratrice di Stephen King, ci fa capire come l’orrore possa restare celato dietro al sipario del placido vivere quotidiano.
La storia eponima della raccolta (famosissima e commentatissima) ci offre una rilassante visione bucolica della provincia americana, dove la vita sembra scorrere tranquilla durante la rituale lotteria annuale, ma nelle ultimissime, sconvolgenti frasi, con cinica ferocia ci viene sbattuta in faccia una realtà brutale e spietata che l’apparente serenità esteriore ha tentato di velare. Per quanto il finale non giunga inaspettato o inaspettabile il solo fatto che il lettore sia accompagnato sin lì da uno stile garbato, gentile, che quasi lo culla con le parole, fa sì che gli sia assestato un metaforico durissimo schiaffo sul volto svegliandolo bruscamente dal placido torpore nel quale si era adagiato.
Ma pure gli altri tre racconti custodiscono una potenza dirompente e crudele tra le loro righe.
Così la scialba trentenne de “Lo Sposo”, che anela al matrimonio come coronamento della propria esistenza banale, scoprirà che la vita non fa preferenze e non ha misericordia per quelle come lei.
Ne “Il Colloquio” (ingiustamente è considerato inferiore agli altri) le pochissime battute superbamente ironiche di cui è composto ci offrono un agghiacciante istantanea del nostro modo di pensare che liquida con paroloni involuti la nostra incapacità di comprendere ciò che ci circonda, facendo temere alla sola persona savia di essere l’unica pazza. Ma se i pazzi fossimo invece noi? Se fossimo diventati tutti degli “ultracorpi” simili a quelli immaginati da Don Siegel in un film degli anni ’50?
Infine ne “Il Fantoccio” una tranquilla cena in un night club semina una serie di dubbi sulla sanità mentale dei presenti, con un ventriloquo che usa il suo pupazzo come tramite per sfogare le sue frustrazioni coniugali e gli spettatori che restano imprigionati da questo transfert, mentre l’A. irride beffardamente del perbenismo di facciata che essi ostentano.
Il Mondo di Shirley Jackson è senza pietà, senza clemenza per i protagonisti. Anche le situazioni apparentemente più banali ci svelano come sia illusorio nutrire speranza nel futuro, perché la vita non ha misericordia e la follia, forse, alligna ovunque.
Quindi un’ottima raccolta di racconti con un unico rammarico. Tutte e quattro le storie hanno in sé qualcosa di irrisolto, di non compiuto. In parte è certamente voluto e abilmente ricercato. Tuttavia si percepisce la mancanza di qualche elemento in più che, senza diradare il dubbio che aleggia, amplifichi il colpo di scena finale e consenta al lettore di formulare ipotesi o anche solo illazioni le quali, com'è ben noto, sono assai più potenti sul subconscio della stessa realtà rivelata. Insomma i quattro racconti sono come diamanti grezzi ai quali la mancanza del taglio e della molatura impedisce di rifulgere in tutta la loro lucentezza. Comunque da leggere.