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Quel tanto atteso anno felice
Seppur dal contenuto chiaro e semplice, questo sesto e ultimo quaderno, datato 1998, non giunge per caso al lettore e/o alla lettrice del nostro tempo a distanza di ben ventuno anni dopo la sua stesura e a diciotto dopo l’annuncio dell’autore della “prossima” apparizione pubblica di queste pagine. Perché il destino dei liberi scritti è quello di consegnarsi l’amante della parola, di non rimanere in quel limbo di indeterminazione quanto, al contrario, di diventare sostanza, certezza, lettura che perdura nel tempo e nello spazio.
José Saramago diede notizia dell’esistenza dei “Quaderni di Lanzarote – Diario VI” nell’ottobre del 2001, tuttavia la pubblicazione fu rimandata e rimandata. La curiosità era tanta così come l’attesa perché si prospettava che al suo interno fossero racchiusi quei pensieri e quelle angosce antecedenti alla vincita del Nobel sinonimo di quell’anno felice e di quel traguardo faticosamente raggiunto. Eppure, le pubblicazioni si sono susseguite, apparve “La Caverna” e apparvero tanti altri libri, ma di questo diario nulla, quasi come se fosse caduto nell’oblio della memoria, quasi come se fosse andato inesorabilmente perduto. Nulla fino a che quelle causalità “saramaghiane” hanno portato a farlo manifestare da solo rinvenendolo per caso nel pc del portoghese e a fare ancora una volta parlare di Lanzarote, ultima residenza di Saramago e della seconda moglie Pilar Del Rìo, giornalista e traduttrice andalusa.
Già la sua definizione come diario, fa presupporre di trovarsi di fronte ad un’opera diversa da quelle più celebri che siamo abituati a conoscere. Ciò accade anche perché questo strumento fa pensare alla dimensione intimistica, più personale dell’uomo, quando invece viene utilizzato dall’autore per raccogliere gli articoli pubblicati o semplicemente per mettere al sicuro lettere private, ricevute dagli ammiratori, interventi a sua firma destinati alla lettura ad alta voce o a incontri con autori, congressi e quant’altro. Talvolta la sensazione è infatti quella di trovarsi di fronte ad un’agenda tanto i fatti sono riportati sotto la forma del resoconto. Pochissimo è oltretutto riservato alla sfera privata che mai prevarica, mai è in primo piano e che si limita ad apparire se non in modo sparso e disomogeneo con qualche dettaglio sul come il piccolo Josè è cresciuto, sul come ha iniziato a scrivere, sulle ansie e sulle paure. A ciò si aggiungono e contrappongono i ricordi più vividi dei successi, di quel discorso pronunciato nella cerimonia di premiazione a Stoccolma, ai riferimenti ai saggi più conosciuti, alla politica, ai viaggi, alla constatazione che il bello della vita arriva sempre tardi.
Un viaggio nel passato che ha quel gusto del presente e che conclude quel ciclo per troppo lasciato aperto.
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