Dettagli Recensione
Il verbo leggere è intollerante all'imperativo
«No, seguiva il suo ritmo, ecco tutto, che non è necessariamente quello di un altro, e che non è necessariamente il ritmo uniforme di una vita. Il suo ritmo di apprendista lettore, che conosce accelerazioni e brusche regressioni, periodi di bulimia e lunghe sieste digestive, la sete di progredire e la paura di deludere…»
Proprio lo scorso 11 aprile ho avuto modo di incontrare e ascoltare Daniel Pennac perché venuto in visita, nonostante molteplici e spiacevoli tentativi di boicottare l’evento, nella mia cittadina. È stata una serata ricca di emozioni e di spunti di riflessione che mi hanno indotta ad assecondare quella voglia, troppo spesso rimandata, di approfondire questo autore così eclettico e prevalentemente noto per il ciclo sui Malaussène.
In “Come un romanzo” il narratore non si concentra e non si focalizza su creature misteriose e assurde o su personaggi tanto particolari quanto eclettici, bensì affronta un tema a lui caro e che sovente torna a esser protagonista delle sue interviste e delle varie presentazioni: la lettura. Perché leggiamo? Come ci avviciniamo davvero all’universo della parola scritta? E perché sempre più oggi come oggi vi è una tendenza a leggere sempre meno? Perché i nostri figli che magari sono cresciuti con la passione per i libri e a cui leggevamo storie e storie e sempre lo stesso pezzo in ripetizioni ininterrotte prima dell’ora del dormire, adesso non leggono più e vivono questo piacere come se fosse un compito, un dovere, un obbligo? Certo, in parte è colpa (se di colpa si può parlare) del secolo del consumismo, in parte è colpa delle tecnologie, in parte è colpa degli scrittori del passato che si disperdevano in migliaia di descrizioni, ma perché quel piacere che magari a noi veniva proibito (basta leggere! È vietato! Ma quanto leggi!) adesso sembra essersi tramutato in un enorme fardello (ancora a pagina 48 di 500, in quindici giorni. Prof non ce la farò mai!)?
Pennacchioni si interroga su ciò e con la totale assenza di volontà di pregiudizio e giudizio alcuno e con una penna semplice e diretta, analizza entrambe le prospettive: quella dell’adolescente che ha il terrore di questo mostro di carta e quella dell’adulto cresciuto con il riecheggiare delle parole e che volontariamente o involontariamente si è risvegliato pedagogo.
La sua ricostruzione non si esaurisce ancora, però. Perché a seguito di tutte queste interessanti considerazioni che partono dal concepire il leggere come un atto al concepirlo come un dogma passando per le ragioni e le non ragioni di questa evoluzione, il francese redige anche quelli che sono i dieci (ha dichiarato di aver ipotizzato negli anni anche un undicesimo da aggiungere a questi) diritti del lettore:
1. Il diritto di non leggere,
2. Il diritto di saltare le pagine,
3. Il diritto di non finire un libro,
4. Il diritto di rileggere,
5. Il diritto di leggere qualsiasi cosa,
6. Il diritto al bovarismo (malattia testualmente contagiosa),
7. Il diritto di leggere ovunque,
8. Il diritto di spizzicare,
9. Il diritto di leggere a voce alta,
10. Il diritto di tacere.
Questo e molto altro è “Come un romanzo”, un testo breve che si esaurisce in pochissime ore ma che lascia il segno e induce il conoscitore ad interrogarsi e ad interrogare nonché a notare sfumature e colori di questo meraviglioso universo che è il leggere che in precedenza, forse, semplicemente non aveva colto.
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Da allora ho evitato di leggere Pennac.