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La terra del cervo
“Le persone affette da demenza da lunghi anni, che sembrano aver rinunciato al mondo e a cui il mondo sembra avere rinunciato, verso la fine della loro vita hanno una specie di risveglio e riprendono lucidità, come se la demenza fosse solo una finzione, un gioco, o magari un modo di difendersi dagli altri. E quando la morte si avvicina la maschera cade e lascia spazio al dolore, alla sofferenza e forse al rimorso. Così anche se per anni sono sembrati indifferenti a chi si è preso cura di loro, in punto di morte sembrano aggrapparsi a quelle persone e avere bisogno di un loro sguardo, di una carezza.”
È Zvi Luria, ex ingegnere ai lavori pubblici, responsabile di grandi opere come costruzioni di strade e tunnel destinati a congiungere luoghi altrimenti irraggiungibili, il protagonista dell’ultimo romanzo di Abraham Yehoshua ed è intorno al suo decadimento cognitivo che l’autore costruisce una storia che offre molteplici e importanti spunti di riflessione.
È dunque proprio quando Zvi, raggiunti i limiti di età, deve abbandonare il lavoro e rinunciare alla costruzione di altri tunnel sull’autostrada, che egli si trova prigioniero del tunnel più buio dell’esistenza. La sua progressiva perdita di identità si accompagna a una inevitabile perdita di dignità umana e sociale, tanto più rilevante quanto più prestigioso è stato il ruolo ricoperto nel passato. Ed è proprio il tema dell’identità che è centrale nel romanzo.
Se Zvi, il cui nome evoca l’immagine maestosa del cervo, va progressivamente verso una perdita di prestigio e di consapevolezza di sé, altrettanto privi di identità, per motivi politici, sono i pochi rifugiati palestinesi nascosti in cima a una collina nel deserto del Negev. È per salvare l’esistenza di costoro che Zvi è chiamato a raccogliere le sue ultime capacità cognitive, necessarie a costruire il tunnel che impedirà la demolizione della collina, altrimenti indispensabile per la realizzazione della strada che servirà all’esercito. Il tunnel assume qui, ancora una volta, una valenza positiva, in quanto rifugio e via di salvezza.
Il tema della convivenza con i palestinesi è d’altronde presente in tutto il romanzo: Yehoshua non manca di sottolineare come in molti casi essi siano riusciti ad integrarsi nella società israeliana e come i bambini palestinesi siano curati negli ospedali israeliani. Si nota, tuttavia, quanto egli sia sensibile al problema della perdita di identità nazionale che l’integrazione stessa può comportare. Non a caso il personaggio Zvi insiste a chiamare la bella Ayalà con il suo nome originale Hanadi, quasi a voler sottolineare l’importanza e il diritto/dovere di rispettare le origini di ciascun individuo. A questo proposito ricordiamo che Yehoshua , con Oz e Grossman ha sottoscritto il documento favorevole al riconoscimento dello stato della Palestina.
Proprio spinto da questo desiderio di pacifica convivenza, Zvi con un ultimo sforzo volto a controllare il suo stato confusionale, affronta un avventuroso viaggio per raggiungere di nuovo il deserto di Negev, luogo simbolo nella storia di Israele, dove riposano le spoglie di Ben Gurion, al fine di constatare che i lavori del tunnel siano iniziati e soprattutto che i rifugiati siano in salvo. Ed è qui che Zvi si ricongiunge al cervo, al suo alter ego, la cui sagoma si staglia maestosa sulla collina. Ed è qui che simbolicamente finirà il suo viaggio, lasciando al lettore un amaro e doloroso interrogativo sul futuro.
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