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Vivere
“They climbed stiffly from their seats and stood on the ridge peak and looked down into the Pastures of Heaven. And the air was as golden gauze in the last of the sun.”
C’è chi definisce quest’opera una raccolta di racconti, e chi ritiene si tratti invece di un romanzo.
“I Pascoli del Cielo” si compone di dodici parti: un’introduzione, un grappolo di storie, un epilogo.
Ciascuna delle vicende narrate nei ‘capitoli’ centrali del libro è in un certo senso autoconclusiva, e però, al contempo, legata a tutte le altre. Il punto di contatto tra queste storie è l’ambientazione: i Pascoli del Cielo, l’amena valle californiana che, abbracciata dai monti e bagnata dal sole, ospita le anime di una piccola (e pittoresca) comunità rurale, uomini e donne semplici alle prese con le gioie, le difficoltà e i dolori della vita quotidiana.
“I Pascoli del Cielo” è un’opera delicata eppure spietata, che contrappone, semplicemente accostandole, la placidità della Valle ai destini, malinconici quando non crudeli, dei suoi sventurati abitanti. Un’antica maledizione sembra infatti aleggiare sui verdi Pascoli del Cielo, a cui nessuno sembra essere immune.
L’espediente della maledizione consente a Steinbeck di sviluppare il tema, a lui caro in gioventù, del ‘pessimismo deterministico’: gli abitanti della valle, colpiti a turno da una propria, personale sventura, sembrano accettare di buon grado il proprio destino, con dignità e serenità, quasi abbracciandolo, come fosse un vecchio amico.
“Most lives extend in a curve. There is a rise of ambition, a rounded peak of maturity, a gentle downward slope of disillusion and last a flattened grade of waiting for death.”
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