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In cui l'autore riesce ad eclissarsi
Non ho mai fatto mistero del mio scarso interesse per i racconti. Di certo non si tratta del mio genere letterario favorito, sebbene lo tolleri comunque di buon grado, a differenza della poesia che detesto senza riserve. Tra le (poche) raccolte da me lette, ho maggiormente apprezzato quelle con un forte tema di fondo a fare da collegamento, per una mia stramba convinzione secondo la quale sia prova di un maggiore impegno dello scrittore.
Nel caso in esame, c’è molto più di una tematica a collegare le due opere riunite in questo volume e, più in generale, la gran parte degli scritti di Salinger; l’autore ha creato infatti una bizzarra famiglia, spesso scelta come protagonista di brevi racconti che vanno a creare un più ampio affresco, quasi si trattasse di un romanzo familiare a tutti gli effetti.
Si ottiene quindi un ottimo compromesso (almeno, per i miei gusti) tra romanzo e racconto, perché pur nella loro brevità queste opere non abbandonano mai del tutto i loro personaggi e ci permettono di conoscere di volta in volta nuovi elementi sul loro conto.
La famiglia al centro di tante vicissitudini è quella dei Glass, eclettici artisti collegati al mondo circense e allo show business da varie generazioni. L’attenzione si focalizza soprattutto sui figli che, nel corso della loro infanzia, sono stati tutti ospiti di un noto programma radiofonico per bambini particolarmente dotati. Protagonista dei due racconti in questione è però Seymour, il maggiore dei fratelli e certamente il più brillante, pure gravato da pesanti problemi relazionali, quasi a sfiorare la sociopatia, che saranno più tardi causa del suo suicidio
Se la trama è incentrata su Seymour, la voce narrante si palesa nel suo fratello minore Buddy, che idealmente tratteggia alcuni ricordi a lui collegati anni dopo la sua morte. In particolare, “Alzate l’architrave, carpentieri” è il solo a poter essere definito come racconto ed ha come sfondo il giorno delle nozze di Seymour, sebbene lo sposo non entri mai in scena se non attraverso le pagine del suo diario. Seguiamo invece il giovane Buddy, protagonista di una scena a dir poco imbarazzante: costretto dalla sorella Boo Boo a presenziare l’evento seppur convalescente, il giovane soldato scopre di essere il solo invitato dello sposo e, quando questi disertare l’altare, finisce in macchina con una combriccola di stravaganti ospiti che scoprono subito la sua identità e non gli risparmiano il loro biasimo. Ovviamente l’auto rimane bloccata nel traffico a causa di una parata.
La più lampante caratteristica della narrazione di Salinger è indubbiamente il realismo con cui tratteggia sia gli avvenimenti sia i personaggi, verso i quali si prova un’istintiva empatia seppur siano in buona parte una mera satira della società contemporanea all’autore. L’identificazione di Salinger nel suo narratore è tale che, dopo poche pagine, ci si scorda completamente della penna dietro Buddy perché lo stile, pacato e diretto, si adatta perfettamente alle sue fittizie memorie, senza nulla di artificioso.
Le stesse caratteristiche possono essere individuate in “Seymour. Introduzione”, dove viene analizzata con più profondità la figura di Seymour, sia nell’aspetto che nel carattere. Non si tratta propriamente di un racconto, e neppure di una novella: il narratore è sempre Buddy ma questa volta si rivolge in modo ancor più diretto al lettore, in quella che inizialmente doveva essere la prefazione ad una raccolta di poesie del fratello. Il registro narrativo subisce però una progressiva metamorfosi, partendo come libro flusso di coscienza fino a diventare un diario in cui appuntare quotidianamente dei ricordi collegati a Seymour. Ricordi sovente parziali che spingono il lettore a voler conoscere ancor di più questo personaggio e, magari, a leggerne i lavori.
Sicuramente si tratta di un’opera più ardua da comprendere e da apprezzare rispetto alla prima, a causa delle ripetizioni inserite per riprendere il filo logico dopo le frequenti interruzioni, in gran parte tra parentesi, segno d’interpunzione al quale mi sono scoperta allergica -mentre leggo, non mentre scrivo- dopo la deludente lettura di “Vita dopo vita” di Kate Atkinson.