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RECENSIONE
Fante supera Bukowsky e Carver supera Fante in fatto di racconti. O forse, è solo l'ultimo in ordine di scoperta, personalmente parlando.
La raccolta di racconti (17 per l'esattezza, di cui il penultimo dà il titolo al libro) esercita una forza di attrazione magnetica. Una sottile tensione pervade ogni racconto, qualcosa di indefinito domina le vite e e le storie dei personaggi.
I protagonisti, uomini e donne comuni della piccola provincia americana, sono per lo più anime confuse prese nella loro quotidianità e nella loro dimensione privata. L'alcol, l'insoddisfazione, la fatica di vivere, i progetti non realizzati e gli errori, sono delle costanti, dalla prima all'ultima pagina. Il tutto si consuma all'interno della routine di rapporti familiari, di coppia e di amicizia.
Carver mostra qui (nella sua veste originale non stravolta dai pesanti tagli imposti dall'editore Lish) una scrittura magistrale: pulita, limata, cesellata, essenziale, nonché efficace ed incisiva. Le emozioni, piuttosto che essere descritte, vengono evocate. Il narratore scompare per dare spazio a dialoghi reali, presi dal vivo; conversazioni tra vicini di casa, conoscenti e amanti. Nella sua scrittura non c'è retorica né falsità. Carver mette in atto la pratica dell'omissione, cioè esclude tutto ciò che non è fondamentale raccontare e questo affinché - afferma lui stesso - la prosa risulti "trasparente e cristallina". Ricchi sono anche i rimandi autobiografici (l'alcol, il lavoro in segheria del padre e il lavoro di cameriera della madre), il tutto per sottolineare come i suoi personaggi vanno a "grandi passi in nessun posto"; di fronte ad un bivio qualsiasi strada imboccata lascia in mezzo al nulla. Un nulla fatto di disagio, perdita e spaesamento esistenziale. I personaggi sono impantanati, invischiati in situazioni che non riescono a risolvere. E alla fine non ci sono conclusioni definitive, sensazionalistiche, è un defluire continuo, come nella vita più comune e prosaica dell'essere umano.