Dettagli Recensione
Un senso di precarietà randagia.
"…finché una notte ho guardato i miei rispettabili pantaloni pur sempre Woolworth e ho capito che i treni merci non si fermavano più a Rock Camp."
Dodici racconti di uno scrittore che non avevo mai sentito, morto suicida, a 26 anni, nel 1979.
Se non frequentassi assai ben frequentati gruppi di lettura non sarei qui adesso e non avrei potuto leggere la postfazione di Percival Everett, scoperto anche lui di recente (e per fortuna vivo e vegeto, così posso leggere ancora, almeno di lui).
Premessa.
Quando sento parlare di racconti “minimalisti”, a me, viene un po’ l’orticaria.
Un po’ perché non ho simpatia per le “etichette”, in questo caso in particolare, perché mi sono arenata senza nessuna gloria dopo alcune pagine di Carver (certamente per scarsa sensibilità mia e riproverò). Forse era il titolo sbagliato con cui cominciare, però dopo pagine con personaggi anonimi, in cui non succede niente e l’autore non racconta/descrive niente…
Insomma, il mio genere di racconto, per capirsi è “The Duel” di Matheson!
Leggendo Pancake, invece, mi sono davvero appassionata.
È vero che – tecnicamente – succede abbastanza “poco”, ma l’autore ti “caccia” con poche parole dentro una storia, una comunità, un paesaggio; è pur è vero che non hai coordinate, punti di riferimento, e spesso neanche una logica a cui appigliarti, ma vengono raccontati (quasi sempre senza farlo davvero) personaggi e situazioni complessi, in poche pagine, lasciandoti un senso di precarietà randagia che poi è difficile scrollarsi di dosso.
"Sullo scaffale dell’armadio c’è una scatola di vecchie fotografie di remoti parenti dei Gerlock, gente che proviene da un passato talmente lontano che i nomi sono stati dimenticati. Anni prima, gli inverni umidi lo obbligavano a rimanere in casa e lui disponeva in bell’ordine le foto, inventava vite per queste persone, e ne faceva la propria famiglia e storia. Si sentiva parte di ogni viso, di ogni persona, e con l’immaginazione cercava di raggiungere i loro giorni. Adesso sembrano soltanto fotografie, e lui trasporta la scatola al piano di sotto, nel portico."
(…)
"Camminando per il campo, Ottie capisce che la fattoria appartiene a Bus e che lui l’ha bloccata in un tempo dove riesce a vivere ogni giorno. E Ottie li vede insieme per l’ultima volta: un cane che muore e due bambini inutili, fantasmi per sempre, che non possono nemmeno gridare o giocare; anche da morti, combattono per le ossa."
Com’è facile notare, non è agevole recensire questa raccolta.
Ho cercato di lasciarlo fare a Pancake; suggerirei, inoltre, umilmente, di leggere questo autore.
E prendo congedo con una descrizione, che di certo non è minimalista (qualsiasi cosa voglia dire), però vale la pena!
"Nel mattino sbiadito la terra sembrava segnata da cicatrici. Le prime nevi erano già cadute, si erano sciolte e avevano sigillato le colline in una brina pesante che il sole non riusciva ad addolcire. Venti freddi avevano staccato le ultime foglie rimaste sulle querce, avevano lasciato sulle colline una pace grigiobruna che scendeva nella valle da ogni parte."
Ad maiora!
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