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"Ah ah ah"
“Ti raccontavano che quel grande qualcosa/qualcuno ti amava in maniera speciale ma alla fine ti accorgevi che non era vero. Il grande qualcosa/qualcuno era neutrale. Indifferente. Quando si muoveva con innocenza schiacciava le persone”.
A volte distopia e realismo si fondono formando una miscela caustica, dal sentore sgradevole di una realtà possibile, forse già silenziosamente in atto.
E' il caso di questi undici racconti e della galleria di antieroi che li popolano, perdenti rosolati sul fuocherello della quotidiana umiliazione dalla mano impietosa dell'autore, che li fa ridere, patetici (“ah ah ah”), mentre ride di loro.
Sentimenti modificati chimicamente in laboratorio (ma fino a che punto meno veri di quelli reali?), ragazze ridotte a penzolanti arredi da giardino grazie alla scoperta di un luminare della scienza, e poi buone intenzioni, fallimenti, frustrazioni, invidie, ripicche: dal deprimente campionario non si salva nessuno, o quasi.
Quasi, perché proprio quando il lettore sta per gettare la spugna, dal gelo dell'ultimo splendido racconto – “Dieci dicembre” – emerge la flebile speranza di un riscatto possibile.
I pensieri di un bambino sovrappeso e di un vecchio fuggiasco malato di Alzeihmer che inciampa sulle parole e sulla neve si alternano con il rispettivo carico di sofferenza, mentre le loro esistenze si intrecciano diventando, inaspettatamente, forza vitale.
E finalmente affiorano emozioni autentiche e “gocce di bontà” si impongono sul cinismo... almeno in buona parte:
“... e queste gocce di fratellanza lui non aveva il diritto – non l'aveva mai avuto – di negare.
Di negarle”.