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L’arte del sublime
Sono nove i racconti di questa raccolta e testimoniano una volta di più le grandi capacità letterarie di Irène Némirovsky. Benchè queste siano ben note sono rimasto sorpreso di trovare una straordinaria abilità nel raccontare trame che potrei definire convenzionali, ma la cui trasposizione beneficia, pur a fronte di uno stile che può apparire semplice, di un’elaborazione completa e complessa in cui si mantengono in perfetto equilibrio le descrizioni dell’ambiente e dell’atmosfera, nonché la capacità indiscutibile di sondare l’animo umano, il tutto accompagnato da una vena poetica tenue, ma incisiva.
Così, ognuno di questi racconti diventa l’espressione dell’arte del sublime, tanto belli sono e tanto lasciano nel lettore una palpabile commozione che rasserena l’animo. I protagonisti sono per lo più donne, anche se non mancano soggetti maschili di grande interesse, ma ciò che soprattutto li accomuna è il sempre presente senso della caducità della vita, di quella morte che finisce con il dare un senso alla vita. La figura del procuratore Deprez (L’inizio e la fine) incombe nella prosa con i suoi tormenti per il male che lo divora, mentre altri dolori patisce la signora Barret, la madre di un giovane assassino, che lui dovrà processare, il tutto in un chiaroscuro quasi tenebroso, dove si affrontano amore materno e senso del dovere, pietà e dignità, rimorsi e volontà. Sono tutti belli questi racconti, compreso l’ironico L’orchessa, che esce un po’ dai canoni consueti con la figura di una donna che pretende di portare al successo la propria figlia, a quel successo che lei non ha mai avuto. Personalmente mi sono piaciute particolarmente due prose: Legami di sangue e La confidente. La prima vede i figli riuniti al capezzale dell’anziana madre gravemente malata in un crescendo di screzi e di confessioni, in cui riaffiorano antiche gelosie; parenti serpenti, si potrebbe dire, e se il tema non é proprio nuovo, tuttavia per come é svolto attrae in modo irresistibile, senza dimenticare le inevitabili ricorrenti riflessioni a cui si è indotti, soprattutto se non si è figli unici. La seconda vede l’incontro fra un musicista vedovo e un’amica della moglie defunta, in un dialogo rivelatore, di cui non intendo anticipare nulla, vista l’impostazione gialla, anche se giallo non é; sono pagine che, a dir poco, affascinano, un esercizio di rara bravura, di cui mi corre tuttavia l’obbligo di riportare il grande significato dell’arte secondo l’autore, con ciò che riesce a dare l’artista; infatti, rivolgendosi al signor Dange, famoso musicista, la signorina Cousin dice a proposito della grandezza del suo interlocutore: “….Un mondo sublime. E noi, noi non siamo niente, solo povere creature inutili. É così raro, così bello, quando un grande artista si concede, ci fa uscire dalla dalla nostra mediocrità, parla con noi. É qualche cosa di immenso, signore.”.
Non aggiungo altro, se non la raccomandazione di leggere questo altro capolavoro di Irène Nèmirovsky.
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