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TRASLOCHI
Più che una macchina fotografica la penna della Munro è una sorta di bacchetta magica particolare: immobilizza i protagoniste delle sue storie non mentre stanno ferme, in posa, davanti all’obiettivo. bensì nel momento esatto in cui si spostano, traslocano da una casa all’altra, da una città a un paese e viceversa, da un amore all’altro, da un sentimento all’altro. I racconti della scrittrice canadese, non sono il regno del definitivo, né nel senso del tragico né del comico: ci sono sentimenti, riflette Rose, la protagonista di “Chi ti credi di essere”, di cui si può parlare soltanto in traduzione, e la traduzione è “ambigua” e “pericolosa per giunta”. Ed è la strada scivolosa di educazioni sentimentali che è possibile raccontare solo di sbieco che la Munro ha scelto di intraprendere: strada scivolosa, in quanto non ci si imbatte mai in nulla di scontato e la realtà non è mai quella che siamo stati abituati a raffigurarci. La condizione di precariato di Rose costituisce infatti il filo conduttore dei 10 racconti che ne rappresentano la vicenda nell’arco di un’intera vita: dovrebbe essere un romanzo di formazione, ma ogni evento, dall’adolescenza difficile con la matrigna Flo in un sobborgo povero di una cittadina di provincia durante la Depressione, al matrimonio, agli amanti, al lavoro, costituisce le tappe di una diseducazione più che di un educazione. Diseducazione da cosa? Da certezze e da luoghi comuni attraverso cui gettiamo le fondamenta al nostro esistere, illudendoci della loro solidità. Fuggendo da un uomo che forse potrebbe dargli ciò che non ha mai avuto, Rose, arriva a concludere che l’amore“ in un modo o nell’altro ti derubava sempre di qualcosa”. E poi ci sono i tiri mancini del destino che alla fin fine si finiscono di digerire, come cibi mangiati contro voglia e gli impulsi che ti portano a baciare una persona sposata, appena conosciuta a una festa, semplicemente perché si conosce “l’avidità” o a cedere nello scompartimento di un treno alle voglie di un uomo mai visto prima. Se dunque la nostra condizione è una costante e progressiva perdita di centri di gravità, che cosa possiamo dire di noi stessi? Molto poco se non come avviene a Rosa che riconosciuto un vecchio compagno di scuola ex militare infermo in un ospizio sente “vicina la vita di lui, più vicina di quella di uomini che aveva amato”.
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