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On the road, con sosta al Jay's bar
“Ascolta la canzone del vento” e “Flipper,1973”, i brevi romanzi di esordio di Murakami Haruki, sono parte di una ideale trilogia della quale finora era stata tradotta e divulgata solo la terza parte con il titolo “Nel segno della pecora”. Si tratta di due racconti logicamente collegati, che si snodano intorno alla figura dello studente inquieto che aspira a diventare scrittore e a quella del Sorcio, giovane afflitto dalla solitudine e disilluso dalla vita.
Sono qui già presenti molti dei temi che Murakami affronterà nelle opere successive, più mature e complesse. Nella prefazione alla edizione pubblicata da Einaudi, lo stesso autore racconta come sia nata la sua avventura di scrittore e quali siano state le difficoltà da affrontare per riuscire nel suo intento. In questa prospettiva la figura dello studente di “Ascolta la canzone del vento” contiene numerosi elementi autobiografici. Non c'è dubbio che un’opera vada valutata a prescindere dalle influenze che la biografia dell’autore abbia potuto esercitare su di essa, ma spesso risulta arduo scindere completamente la sfera personale da quella artistica. Ed è così che il giovane studente assomiglia molto al giovane Murakami affascinato dalla musica angloamericana, dal cinema di Hollywood, dai classici degli scrittori europei. Il suo viaggio ideale, gli incontri che condivide con il Sorcio nelle pause trascorse al Jay’s bar, altro non sono che un procedere on the road verso una crescita non priva di dolorose esperienze. Le donne, in entrambi i racconti, non costituiscono relazioni stabili e permanenti. Esse si dissolvono, si allontanano, a volte muoiono, nessuna si fermerà, nessuna diventerà un punto di riferimento. In un succedersi di sentimenti difficili da gestire con equilibrio, ecco che il barman Jay assume una funzione da analista e terapeuta. Una volta ancora Murakami sembra aver risentito dell’influenza del cinema americano, delle scene in cui i personaggi scambiano pochissime ma significative battute col barman che serve loro abbondanti e numerosi drink. Non ci si meraviglia se a volte a questo straordinario autore giapponese sia stata rimproverata la sua predilezione per la cultura occidentale. In un paese come il Giappone, la cui storia è ben nota, non tutti sono disposti ad accettare un atteggiamento così aperto verso gli Stati Uniti. Le frequenti citazioni degli eventi della storia americana che in parte scandiscono i racconti di Murakami, possono sembrare un tentativo di sovrapporre la storia di un paese ad un altro. Ma le cose probabilmente non stanno così. I giovani protagonisti di Murakami appartengono spesso agli anni settanta, sono eredi dei mutamenti e dei sogni degli anni sessanta di cui l’America prima degli altri paesi si fece portavoce. Si tratta di una generazione che in Giappone fu in bilico tra il tragico ricordo di Hiroshima e il sogno di libertà trasgressiva rappresentato da Dean Moriarty. È forse qui il vero coraggio e la vera originalità di Murakami: aver dato voce alla sua fantasia, a volte persino sconfinando in una sfera surreale, superando i limiti che la storia pretende di imporre. In questa prospettiva va inteso il dialogo con il flipper, divenuto una sorta di “astronave” umanizzata. Il flipper racchiude in sé i sogni, le sfide, le esaltazioni di un’epoca magica, un’epoca giunta alla fine, dalla quale con rammarico e nostalgia ci si deve inevitabilmente separare, perché essa rappresenta il passato, mentre l’individuo è proiettato verso il futuro. Non a caso nelle ultime pagine di “Flipper, 1973”, Murakami cita Tennessee Williams: “Il passato e il presente sono quelli che sono, del futuro possiamo solo dire che è probabile.”
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Molto interessante l'esordio letterario di questo autore di fama. Sapevo della pubblicazione del libro. Ora so che merita di essere letto.