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L'Aleph
 
L'Aleph 2016-05-16 20:43:53 filippo
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4.5
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
Opinione inserita da filippo    16 Mag, 2016

impressioni sull'aleph

“Ricordo, anche se io non ho diritto di pronunciare questo verbo sacro; un uomo solo, sulla terra, ebbe questo diritto, e quest’uomo è morto”; di non essermi mai trovato fra le mani un libro simile. L’Aleph di Jorge Luis Borges è indubbiamente un libro unico. L’opera è formata da diciotto racconti brevi, quasi tutti di genere fantastico, a parte due, anche se la penna visionaria e multiforme dell’autore conferisce loro un vago senso di irrealtà, così esemplarmente delineato ed esplorato in tutte le sue sfumature negli altri. Esattamente come in un altra celebre opera di Borges, le Finzioni, i testi e le vicende, di per se meno importanti che le riflessioni, il complesso gioco di citazioni vere o inventate, di raffinati simbolismi e la matassa di metafore che arricchiscono il contenuto di ciascun racconto di un substrato filosofico e metafisico a volte vertiginosamente profondo, sono immerse, e trovano il loro svolgimento in un mondo immaginario ed al tempo stesso reale, magistralmente contenuto con forza di pensiero, invenzione, erudizione, fatto di labirinti, vertigini, eternità, inesorabile scorrere del tempo, morte, sdoppiamento di personalità, follie, destino, insondabile e straziante dolore fisico e cerebrale. Nessuno scrittore che conosca o di cui abbia letto qualcosa è riuscito ad ambientare le sue storie in un teatro così drammatico, onirico, labirintico ed a volte allucinante; anche se l’influenza borgesiana si è fatta sentire immensamente in altri due scrittori sudamericani: Cortazar, autore de Il gioco del mondo e Bolano, autore di 2066. Personalmente i racconti che ho trovato più belli sono stati il primo e l’ultimo, intitolati rispettivamente L’immortale e L’Aleph. Il tema del primo, ovviamente, l’immortalità. Borges immagina un uomo di nome M.F. Rufo che, al tempo dell’imperatore Diocleziano, si addentra nel deserto africano, in cerca della città degli immortali e del fiume che aveva fama di donare l’immortalità, alla fine, benchè solo, trova per caso il fiume vicino ad una città popolata da esseri umani che giudica inferiori, i trogloditi, e beve la sua acqua, senza sapere che era proprio il fiume che cercava. Diviene così immortale. La parte che ho adorato è stata la descrizione del palazzo degli immortali, assurdo, un labirinto senza senso in cui “l’architettura mancava di ogni fine “, che mi ha ricordato il quadro di Escher Relatività. Poi attraverso considerazioni sull’immortalità, sull’essere, sul significato ontologico di una vita eterna, in cui ogni azione perde quasi tutto il suo valore intrinseco, precedentemente dato, in una vita normale e mortale, dal fatto che poteva essere l’ultima; a volte contorte ed elaborate, ma mai eccessive, altre volte più semplici e meno cerebrali. Tra i trogloditi trova l’Omero che mille e cento anni prima compose l’Odissea, nel 1066 militò tra le file dello sfortunato Aroldo sul ponte di Standford, poi visse nel VII secolo dell’Egira in un sobborgo di Bulaq, nel 1638 si trovò a Liepzig, nel 1714 si sottoscrisse ai sei volumi dell’Iliade di Pope (in cui, nel giugno del 1929, la rea trovò il fiume magico che toglieva l’immortalità, bevve e ridivenne mortale. Il racconto si conclude con queste splendide parole “Quando s’avvicina la fine non restano più immagini del ricordo; restano solo parole. Non è da stupire che il tempo abbia confuso quelle che un giorno mi rappresentarono con quelle che furono simboli della sorte di chi mi accompagnò per tanti secoli. Io sono stato Omero; tra breve sarò Nessuno, come Ulisse; tra breve, sarò tutti: sarò morto.” Altri racconti veramente notevoli sono i Teologi, in cui, attraverso la tematica dell’eresia, dell’ortodossia principessa di Lucinge trovò il manoscritto della storia di Rufo), ed infine nel 1921 sulla costa erite dell’abile confine tra queste, Borges approfondisce il tema dello sdoppiamento, La casa di Asterione, il cui protagonista è il minotauro nel suo labirinto e Deutches Requiem, il resoconto in prima persona di un nazista, tal Otto Dietrich zur Linde, che espone il tragico paradosso, avvertito dall’autore stesso, tra la necessità dell’annientamento del nazismo (cui il protagonista attribuisce il merito di aver ucciso la vecchia viltà cristiana) per la prosecuzione della storia del mondo (pertanto, in qualche modo, l’artefice del cambiamento era stato il nazismo, e dal cambiamento quest’ultimo deve soccombere), ed il destino cupo del popolo tedesco, che pure al mondo aveva dato tantissimo (il protagonista cita Goethe, Schopenhauer, Nietzsche e Brahms). Infine c’è l’Aleph, che da il nome alla raccolta; il testo può essere diviso in due parti, nella prima dominano incontrastate il sarcasmo e la sferzante ironia con cui il protagonista (lo stesso Borges) demolisce la figura di un poeta vanaglorioso, autore di un poema definito niente più che una pedantesca farragine; verso la fine si scopre che nella sua casa c’era un Aleph, “uno dei punti dello spazio che contengono tutti i punti”, il protagonista si reca alla casa del suo amico poeta, va in cantina e nel buio totale gli appare l’Aleph. Una piccola sfera di un folgore quasi intollerabile, da cui è possibile vedere simultaneamente l’infinito, tutte le cose osservate contemporaneamente da tutti i punti di vista; quello che l’autore chiama l’inconcepibile universo. La descrizione dell’Aleph credo dimostri come sia riduttivo definire Borges solo uno scrittore; io comunque mi limito a dire di averlo trovato quasi un capolavoro.

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Commenti

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17 Mag, 2016
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Mi sono dimenticato di dire che la cosa di Relatività riguardo all'Immortale la ho presa dalla prima recensione pubblicata, poiché molto azzeccata, senza citare. Mi si perdoni.
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