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Incomunicabilita'....
La raccolta " I giovani", esordio letterario di Salinger , si compone di tre racconti giovanili, i primi due del 1940, il terzo del 1944, scritto dopo l' atroce esperienza bellica vissuta dall' autore, segnato pesantemente da morte ed orrore. Sono stati tradotti e pubblicati in Italia nel 2015.
Tre racconti brevi, un soffio accomunato dallo stesso spartito, una coppia, lei e lui, uno sfondo di un interno, pochi oggetti, gesti lenti e ripetuti, rallentati, sempre quelli, come le parole che si trascinano stancamente.
Dialoghi che esprimono silenzio, incomunicabilita', soliloqui accomunati dall' immobilismo di un palcoscenico dove nulla accade, se non il tentativo di intrecciare una conversazione subito negato dal formalismo, dal perbenismo, dall' inutilità di un dialogo che non ha approdo sicuro.
Sono le parole ad emergere, disadorne, secche, mutevoli, entrano, occupano ed attraversano la scena, mentre l' inazione dei personaggi e della storia, così' scarna e diafana, quasi inesistente, ne costituisce solo il contorno.
I protagonisti sfuggono e si defilano, restano immagini lente e ripetute, sigarette gia' fumate o ancora da fumare, una clessidra a scandire il tempo, una pellicina sul pollice, un paio di occhi chiusi, il lasciarsi cadere pesantemente su quella grossa poltrona rossa, a sottolineare un passaggio rallentato ed un certo immobilismo, oltre una malcelata solitudine interiore che cerca di evadere nella possibilita' dialettica ma che finisce per confermarci l' incomunicabilita'' ed inespressione dei personaggi.
Il racconto eponimo ed emblema della trilogia, il primo, è' il più' riuscito, laddove si parla della cocktail society di New York, nel bel mezzo di una festa di adolescenti intrisa di noia, superalcolici, vizi, in un tentativo banale e maldestro di dialogo e corrispondenza tra Edna e Bill, entrambi disinteressati o fintamente interessati, altrove indirizzati, isolati e decadenti, in un limbo di attesa e di tempo sospeso, quasi immobile, con una idea di essere altrove e che nulla in realtà' stia realmente accadendo.
Ogni dialogo ed evento e' monologo ed attesa di quello che non sarà', e ciascun attore è' semplice comparsa, c' e' ma vorrebbe non esserci, è' distante, distratto, e le parole finiscono per perdersi o deviare in altro.
Non distinguiamo un tempo ed un luogo, ogni frase trasformata o sostituita, ma il risultato non cambia, e non importa, quasi che l' immobilismo sia voluto e determinato, e la noia e ripetitività' sia espressione del nulla di quel mondo dell' alta e media borghesia cosi' inviso all' autore e dal quale, peraltro, proveniva.
Non c' e' nessuna risposta se non la solitudine ed il silenzio, tanto che lui stesso anni dopo ne traccera' la via.
Traspare nella narrazione quel filo conduttore che ne segnera' le opere a venire, anche se qui ancora piuttosto scarno, disadorno, ancora acerbo, ma già' velato da una malinconica presenza che sara' espressione, un giorno, di totale e voluta assenza, fisica e di produzione letteraria.