Dettagli Recensione
Mi ha trovato lui.
"Non siamo stati noi a trovarlo. Ci ha trovato lui."
Amo i film western perché ogni tanto (spesso) mi piace che le cose siano semplici e che quando c’è da sparare si spari e non si chiacchieri (cit.).
Quando i buoni (o il buon senso) stanno molto decisamente da una parte e i cattivi (e la stupidità) molto decisamente dall’altra. Pare che non sia sempre così nella vita reale, non di meno vederlo sullo schermo è rilassante, almeno per me. Le mie esperienze con la narrativa western sono state piuttosto scarse e “segnate” dalla brutta esperienza con “Butcher Crossing” di John Williams.
(Poi potrei esporre la mia teoria secondo cui tutta la Fantascienza sia Western… ma magari lo faccio un’altra volta).
Avendo adorato “Stoner”, avevo fatto letteralmente i salti di gioia, sapendo che Williams avesse scritto una storia western, la tremenda delusione che mi hanno causato le insipide (secondo me) gesta di Will e della sua banda di sciagurati mentecatti in azione, mi aveva indotto a rivedermi tutta la filmografia western di John Ford e di rimuginare solinga sui torti subiti.
Invece una preziosa dritta di amici lettori mi ha portato a fare pace con il genere e a scoprire uno scrittore che non conoscevo e di cui intendo leggere financo la lista della spesa.
Elmore Leonard inventa decine di racconti e sbozza e tratteggia decine di personaggi.
E soprattutto, crea DIALOGHI di rara potenza.
Riesce a delineare “tipi” con pochissime parole, capaci di aprire mondi e baratri. Per fare solo un esempio fra tutti “Ivan Kergosen (…) aveva accresciuto i suoi beni in base ad una precisa ed ostinata interpretazione della volontà di dio, rispettandolo più come Dio di Giustizia che di Pietà”.
Ecco.
Una piccola frase è ha già detto tutto del personaggio.
Ho fatto un esperimento, l’ho letta in classe e poi ho chiesto ai ragazzi che personaggio si aspettassero da Ivan Kergonsen.
Be’. Ci hanno preso.
“Ne avevo già vista di gente come Tobin, e altra ne ho vista in seguito, ma grazie a dio non più di tanta. Gente che ha sempre bisogno di dimostrare qualcosa di cui al resto del mondo non importa niente.”
(È la stessa gente di cui parla Foster Wallace “perennemente in posa per una foto che nessuno sta scattando”).
Poche parole (molto “western”), ironia, sguardi e i racconti si susseguono, uno dietro l’altro creando una sorta di continuum, un mondo in cui ti immergi e da cui fatichi un po’ ad uscire.
L’abilità dell’autore, secondo me, è di non scadere mai nello stereotipo e di non creare mai macchiette; non saprei indicare i miei racconti preferiti, di certo “L’uomo con un braccio solo” mi è rimasto profondamente impresso, così come la “Donna di Tascosa”, “L’uomo sbagliato” e “Il treno per Yuma” (che non ha bisogno della mia presentazione). Infine, se anche voi avete litigato con “Butcher Crossing” e volete fare la pace, almeno con i bisonti… allora date un’occhiata a “Caccia grossa.”