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Il fuoco che non purifica: una lettura estremament
Fino al suo ultimo capitolo, "La voce del fuoco" di Alan Moore offre il fianco ad una recensione prettamente "tecnica", sul modello delle centinaia fiorite per la "Trilogia di New York" di Paul Auster.
Le istanze post-moderne di "fusione" tra storia e storiografia, tra realtà e sua rappresentazione, che caratterizzano l'intera opera balzano all'occhio, così come i riferimenti a luoghi, immagini e tematiche ricorrenti, elementi che accompagnano il "canto" vacuo e doloroso del Fuoco, forza ammaliante e spaventosa che non offre redenzione e dà il titolo a questa breve antologia.
Seguendo queste due semplici linee-guida sarebbe quindi verosimile, se non elementare, descrivere il susseguirsi di racconti come un ideale "cerchio" narrativo dedicato a Northampton lungo 6.000 anni, capace di prescindere dall'ordine cronologico, così come sottolineato (ahimè, molto malamente) da Neil Gaiman nell'introduzione che accompagna la versione italiana.
Ma Alan Moore ha altri progetti per il proprio lettore.
Anzitutto, l'autore vuole frustrare ogni sentimento di "interpretazione" critica sorto nel lettore: presenta un ultimo capitolo spiazzante, scritto in prima persona, nel quale espone in modo quasi giornalistico tutte le possibili implicazioni "tecniche" legate al suo libro.
In poche righe, Moore identifica elementi ricorrenti quali gli Shagfoal, il piede varo, Novembre, la testa mozzata, etc. e ne "smonta" sistematicamente il valore agli occhi del piccolo "critico" sapientone che alberga in tutti noi.
Al contempo però, l'autore offre al suo lettore una perla rara; lo prende per mano, e lo conduce per le vie di Northampton, in una visita guidata strettamente contemporanea, ma capace di ricollegarsi magistralmente ai fatti descritti nelle storie descritte.
Moore si interroga su quale finale destinare alla sua opera, sottolineando come l'obbiettivo del suo scrivere sia quello di creare una commistione tra realtà e fantasia, tra "ciò che è" e una realtà "inquinata" da precisi e incontrollabili elementi di fantasia; elementi che non vogliono cambiare il corso della storia, ma solo descrivere i "fili" che muovono i pensieri dei protagonisti che la popolano.
Proprio i protagonisti, invariabilmente vittime di un "fuoco" di varia natura, compongono un meraviglioso e variegato gruppo di piccoli e grandi protagonisti del proprio tempo, e prendono corpo attraverso un uso della lingua semplicemente unico.
I 12 capitoli, tutti rigorosamente narrati in prima persona, alternano una prosa scorrevole a momenti di stream of consciousness incontrollato, marcando in modo estremamente intelligente l'evoluzione del linguaggio umano: dall'iniziale drammatica incapacità comunicativa (ma non espressiva) de “Il maiale di Mag”, fino alla complessa e disperata multireferenzialità del capitolo finale.
Un'opera magistrale, difficile ma estremamente appagante.
Indicazioni utili
Il vagabondo delle stelle - J. London