Dettagli Recensione
Alte pretese, rispettate solo in parte
Ne “Il signore delle mosche” ci viene narrato di un gruppo di ragazzi, bambini ed adolescenti, che in seguito al crollo di un aereo finiscono in un’isola. La componente narrativa è quasi secondaria rispetto alla psicologia umana, che Golding tenterà di mettere a nudo nell’esporre le diverse debolezze e gli istinti che prenderanno piede in ogni bambino.
I personaggi, va detto, si poggiano su degli stereotipi assai comuni. I topoi letterari a cui essi riconducono possono immediatamente essere scorti anche dal lettore più inesperto, che potrà notare come la marmaglia di bambini è composta dal protagonista (Ralph), il quale pur essendo un ragazzo del tutto nella norma viene visto come speciale dagli altri, dal tipico “bullo” geloso del protagonista, dal bambino socialmente imbranato cui il protagonista si legherà, e cosi via. Realisticamente non si riesce a notare, nel corso della lettura, un reale sforzo compiuto per differenziare i personaggi gli uni dagli altri, che tranne i tre sopracitati si andranno a collocare all’interno di un mucchio nel quale difficilmente si andranno a discernere gli uni dagli altri. Narrativamente infatti, dal punto di vista prettamente del romanzo, Il signore delle mosche mostra qualche debolezza. Le vicende sono narrate con molta lentezza, trascurando molti meccanismi causa-effetto e portando ad uno sviluppo psicologico di fatto estremamente semplice, che non conferisce profondità a dei personaggi nei quali risulta quasi impossibile osservare delle figure reali. Il setting e la particolare premessa della vicenda è ciò che lega il lettore e lo porta a continuare, seppur purtroppo l’assai prevedibile svolgimento, composto da una lenta degradazione degli aspetti sociali dell’umanità verso il selvaggio, non riesca a soddisfare come ci si aspetterebbe. Va inoltre segnalato, e qui non sono purtroppo in grado di attribuire la colpa a Golding oppure al traduttore, che la lettura è assai poco scorrevole. Il libro prosegue dando per scontato fin troppo e con dei dialoghi che, pur dovendo rappresentare dei bambini, risultano nella maggior parte dei casi ai limiti della superficialità, portando a delle interazioni umane ripetitive e a tratti quasi incomprensibili. Golding risulta inoltre assai altalenante nel suo modus scribendi, decidendo di trascurare dettagli e precisione nelle descrizioni che probabilmente avrebbero conferito una maggior immersione nella vicenda, a discapito di altri dettagli che invece ci vengono comunicati costantemente, con una ripetizione quasi martellante, come il gesto del protagonista per sistemare i propri capelli. Il più grande problema de “Il signore delle Mosche” è l’immensa creazione di aspettative nel lettore per un romanzo con tantissime potenzialità, sia narrative che introspettive, ma che si riduce ad una piuttosto breve lettura che riesce a raggiungere solo dei brevissimi picchi sul finale, trascurando grossolanamente la narrazione nella fase centrale a discapito di non troppo convincenti digressioni.
E’ quindi tutto da buttare via ne “il signore delle mosche”? Assolutamente no, e sarebbe pretestuoso per un comune lettore come me affermare questo. Pur nei suoi problemi, riesce ad offrire un interessante spaccato di istintualità e natura umana posta in una situazione diversa dal solito. L’idea di base proposta è ottima, e nel finale riesce a raggiungere interessanti, seppur brevi, picchi di intensità. Riesce inoltre, a proporre numerose allegorie interessanti, sulle quali il lettore più interessato potrà ragionare e costruirsi una propria idea su quanto proposto: nota positiva a tal proposito è uno dei punti più forti della scrittura di Golding, che non rende nulla evidente e costringe il lettore a pensare con la propria testa.
Trattasi quindi di un’interessante opera pessimistica che, pur forse non essendo il meglio a cui si potesse ambire – specie considerando la pretenziosità implicita nell’opera stessa – risulta comunque un potente catalizzatore di pensieri nel soggetto che lo legge.