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Aspirazione al volo
Yukio Mishima, con “Ali”, compone un racconto che è un gioiello per stile (“Oltre l’ampio panorama, le nuvole si avvolgevano e si scioglievano come petali di iris”) e contenuti, in una storia che del gioiello ha le dimensioni minime e il prezioso splendore.
La relazione tra i due cugini Sugio e Yoko si alimenta di momenti intimi, a contatto con la natura, nella casa della nonna: tra un tenue senso del proibito (“Era abbastanza piacevole temere di essere visti insieme da qualcuno di casa, avrebbero potuto persino baciarsi, se lo avessero voluto”) e l’affinità di fondo (“Si somigliavano molto e venivano spesso scambiati per fratello e sorella”).
Poi interviene un’intuizione reciproca: “Nel treno affollato, ai due parve di sentire muoversi un’altra forza attorno alle loro schiene”. Sugio è convinto che Yoko abbia le ali e attende il momento propizio per vederle realmente. E viceversa. Ma questo è il dramma: “Purtroppo entrambi, credendo che solo l’altro avesse le ali, provarono un immenso sconforto perché erano sicuri che un giorno l’altro sarebbe volato via da solo”.
La metafora ontologica è vistosa: allude alla forza dell’amore (“Quando sentivano di riuscire a volare insieme, spinti dalla potenza dell’amore… l’idea di possedere le ali rendeva così reali le loro fantasie”), viene enfatizzata dal contesto bellico del 1943 (“la bellezza della natura nell’ultima fase della guerra sembrava scaturire dalla forza invisibile degli spiriti dei morti”) e antagonizza altre creature volanti che sono strumento di morte (“Rombò nel passare una pattuglia di aerei da ricognizione”).
Il pessimismo di Mishima tocca vette altissime nella raffigurazione di Sugio (“portando addosso le enormi ali che non servivano a nulla”) e nella fulminante valutazione autobiografica: “Le ali non sono adatte per camminare sulla terra”.
La bellezza disperata che stilla da ogni singola parola del racconto può soltanto avere un fondamento: Mishima aveva le ali (della poesia, dell'angoscia esistenziale, dell’amore) e ciò rende ragione delle righe introduttive: “Pensai d’aver scritto con molta sincerità di me stesso…”
Bruno Elpis
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bel commento bruno, ora scappo a vedere le foto...
Bello e' osservare come anche in un racconto così breve ognuno puo' cogliere sfumature diverse, che si sommano. Io credo che le ali di Mishima di cui parli abbiano le stesse peculiarita' di quelle di Sugio. Pesanti, dolorose, grigie di polvere. Perche' in quello che era diventato il nuovo Giappone, nei cieli che si tingevano sempre piu' di ovest, Kimitake non riusciva piu' a volare.
Credo che questo sia lo scritto piu' dolce di Mishima che io abbia mai letto - ferma restando la sua impronta di morte, che prima o poi arriva -.
Grazie per il contributo :-)
Ti invio una frase di B. Yoshimoto sulla cultura giapponese: "La nostra sensibilità ci permette di vedere il macroscopico e il microscopico esattamente allo stesso modo" .
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