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Incipit promettenti, poi la noia
Sarò sincero: sono partito con grandi aspettative e ho proceduto con entusiasmo all'acquisto leggendo di un estro creativo decantato un po' ovunque. Francamente sono rimasto abbastanza deluso, o meglio, piuttosto apatico nell'accogliere gli affabili ghirigori narrativi dello scrittore israeliano.
E' una serie di racconti senza infamia nè lode, venata da un umorismo sottile, spesso surreale e di tipico stampo yiddish. Complessivamente non malvagio, si legge con facilità, ma definirlo spassoso e divertentissimo, addirittura geniale, mi pare esagerato.
In effetti tre/quattro racconti sono parecchio brillanti e invogliano la risata, ma su un totale di trentotto mi sembrano una rappresentativa esigua.
Lo stile di Etgar Keret è sicuramente interessante, senza fronzoli, molto fluido ed avvolgente, in grado di trasformare la banalità del quotidiano in qualcosa di oscillante tra l'umoristico e l'inquietante. In questo caso lo spunto irrazionale è spesso utilizzato in maniera indiscutibilmente azzeccata, anche se poi, a conti fatti, ciò che resta a fine lettura è un senso di incompiutezza. Forse perchè gli incipit sono spesso invitanti, seguiti però da una conclusione che arriva sempre sul più bello.
La cosa interessante è notare come in poche righe l'autore riesca a far trasudare intenso uno spirito amaro, spesso cinico, quasi minaccioso eppure lieve allo stesso tempo. Sembra un divertissement dell'autore, giocoso col lettore nel sfidarlo ad abbracciare le sue elaborate fantasticherie.
Keret celebra l'esaltazione del caos secondo una realtà filtrata attraverso coordinate grottesche, cercando di esorcizzare l'imponderabile connaturato alla vita.
Tuttavia, a mio modesto parere, più noia che piacere.
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Nella morsa della noia puo' capitare di masticar tabacco, sì.
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