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La gente comune secondo Carver
Piccole storie, che contengono piccole speranze. Magari solo quella di non annoiarsi ad una cena cui non ci si può sottrarre. O di riuscire a trovare, ad un'asta, un frigorifero di seconda mano che sostituisca quello che si è appena rotto (è per questo che il gelato, nel congelatore, sta colando sul macinato di carne, un miscuglio che sa di schifezza già allo sguardo).
Piccoli punti di vista: “La maggior parte dei frigoriferi sono costruiti per durare una vita. Gesù non lo so mica cosa gli ha preso a questo nostro. E' solo il secondo in vita mia che vedo andare in malora così all'improvviso”.
Dodici racconti brevi di vita ordinaria (“provinciale”, si potrebbe dire) più che minimale. Che Carver provvede a decorare con elementi imprevisti e “coloriti”: una squadra di agguerrite venditrici di vitamine porta a porta, un orecchio umano portato a spasso come fosse un souvenir, una consulenza legale in caso di futuro divorzio come primo premio di una improvvisata lotteria... O il malandato camioncino del delicato “La febbre”, da cui ogni mattina uno spaesato Carlyle vede scendere la sua unica speranza di salvezza: l'anziana signora Webster, baby-sitter dei propri figli, ai quali la madre si è sottratta per seguire smanie d'artista.
A questi ritratti sembrano adeguarsi anche le emozioni. Come accade ne “Lo scompartimento”, dove Myers è seduto in una carrozza del treno per Strasburgo, e assapora l'idea di rivedere il proprio figlio dopo otto anni di assenza da casa, di sapere come è diventato, di capire che dirgli, anche sui litigi e sul successivo divorzio che ha sfasciato un'ordinaria famiglia americana. Fino a quando non si accorge che la giacca non è messa sul sedile come l'aveva lasciata prima di andare al bagno, che forse qualcuno ci ha messo le mani... E allora, sorprendentemente (e con grande abilità dell'autore), il treno delle emozioni prende lo scambio sbagliato e finisce su un binario che porta in tutt'altra direzione.
Racconti di vita ordinaria che non risparmiano le durezze (l'autore non ne ha intenzione): a rubare la scena, allora, sopravvengono desideri di ricucire rapporti compromessi, sconfiggere la dipendenza dall'alcool, o comunque di avere una seconda occasione...
Fino ad arrivare al caso in cui l'apparente ordinarietà è solo la rampa di lancio dalla quale spiccare un volo più universale. Accade in “Una cosa piccola ma buona”, forse il racconto più bello (e duro) dell'intera raccolta: un intreccio di vite – una madre, un padre e... il pasticciere del quartiere – che sembra uscito, dritto e tagliente, da “Crash” (il film del 2005 che mostrava come gli esseri umani, ai giorni nostri, non entrino più in contatto tra loro per affinità, ma solo per conflittualità).
Alla fine, c'è da dire che non tutti i racconti appaiono allo stesso livello, e che un pieno grado di soddisfazione è garantito solo a quei lettori che amano muoversi tra vicende “ordinarie”. Almeno il tris di storie di cui si è citato il titolo, tuttavia, pare valere l'intero prezzo della lettura.
Commenti
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Il punto di vista di Gracy è anche il mio: sono singoli ritratti, sulla cui buona fattura c'è poco da dire. Magari appaiono strani, Sary, perchè in effetti pochi scrittori scrivono a questo modo (è questo va a suo merito, in fondo).
Discorso diverso per la piacevolezza: c'è chi può trovarli interessanti (almeno alcuni se non tutti), e chi no. Il mio giudizio complessivo è un 3 proprio per questo motivo... magari per un altro la raccolta vale 1, o 5. E' per questo che mi sono astenuto sul consigliarne - con un secco "si" o "no" - la lettura.
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