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Malriuscito
Una raccolta di tre brevi storrielle che vorrebbero criticare e biasimare, se non addirittura denunciare, l'ipocrisia della società, o almeno di una porzione di questa (quella della borghesia, del ceto medio), e vorrebbero farlo in contrapposizione con i problemi delle persone di estrazione sociale piú bassa; tre racconti che aspirerebbero ad essere interpretati come una parabola disincantata del quotidiano vivere ma che in realtá, per eccessiva particolaritá non fanno altro che narrare tre singole vicende slegate in cui manca qualunque forma di stiracchiato collegamento, se non quello etereo e impalpabile della sopracitata comunione d'intenti, percipita sempre e comunque però tramite sforzo deduttivo da parte del lettore.
Se la prima delle tre storie infatti é divertente quanto la sarcastica cattiveria con cui é scritta, e la seconda regge ancora, per quanto incominci già a perdere un po' il passo raccontando di un episodio cosí volutamente qualunque da riuscire banale nel significato piú profondo del termine, la terza, invece d'essere il trait d'union delle altre due, il punto dove le domande poste in principio trovano finalmente una degna risposta alla luce di quanto accade all' disadattato e autoemarginato protagonista, e così anche alla luce dei reali problemi del mondo, cosí vividi e stridenti al cospetto delle illazioni paranoiche di un ricco pensionato e di un'impiegatuccia da poco, invece di raggiungere questo climax nelle sofferenze psicofisiche dell'uomo su cui Moody punta il riflettore, tossicodipendente per necessitá lavorative, drogato imposto da una societá che non guarda in faccia nessuno, invece di essere tutto questo, è un' oscura vicenda persa nei fumi farmacologici dell'allucinazione, ambientata in una societá futuristica impossibile, che fa sì il verso ai mondi di Philip K. Dick senza tuttavia neppure accostarsi alla prodigiosa fantasia del genio incompreso della fantascienza.
Il terzo racconto sarebbe dovuto essere esaustivo, concludente, stridente ma a suo modo riassuntivo degli altri due, é invece una storia crepuscolarmente orwelliana, narrata tuttavia senza la classe del grande autore, ma piuttosto come filtrata della sua allegorica e sanguigna brutalitá da quella sorta di lente d'ingrandimento, tipica dei pynchoniani (vedasi per esempio D.F. Wallace) che con il suo eccessivo potere di risluzione mette in risalto ogni singolo particolare ma fa perdere di significato al quadro d'insieme. Ma se Pynchon e in parte anche Wallace riescono a riscattarsi con uno stile sempre un po' piú in lá della sadica ironia e sempre un po' piú in qua dello sfacciato sarcasmo, Moody con questa breve opera si mantiene sempre distaccato, quasi come se, osservatore esterno facente parte di quel mondo elitario che egli stesso denuncia, non gli importasse granché della sorte dei suoi stessi protagonisti, ma al contrario sorridesse sprezzante dall' alto della sua privilegiata intellettualitá. Dunque il riscatto stilistico con lui non si concretizza e la triplice narrazione mantiene il ritmo di una promessa sistematicamente rinnovata di pagina in pagina ma alla fine non mantenuta.
In coclusione tre vite é un opera che accarezza temi importanti ma non li prende mai di petto, é uno scritto che avrebbe la potenzialitá di essere un buon romanzo ma manca di sostanza e spregiudicatezza, é un esercizio di stile fine a se stesso talvolta anche riuscito ma in gran parte del tutto mancato, é un libretto che, anche se per alcuni apetti risulta apprezzabile, certamente non merita di sprecarci su molte altre parole.