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“La hojarasca” delle verità
La lettura di questo racconto ci porterà nuovamente a Macondo. Tra le sue piante di Banani, nelle sue estati di caligine afosa, tra le sue casette bianche. Ancora una volta la solitudine è il tema portante ma questa volta con un aurea di elegante mistero, che ci accompagnerà lungo tutta la storia. Storia che si vive attraverso i pensieri e i ricordi dei tre personaggi portanti. Il nonno, la figlia e il nipote. Scavano nelle loro memorie per scoprire, giustificare, la loro presenza al funerale di un dottore odiato, disprezzato e dimenticato dattu gl iabitanti di Macondo, tranne che da loro tre. Ripercorrendo i loro ricordi capiremo chi era il dottore, le sue peculiarità e il suo modo di essere. Il dottore è un personaggio ancora una volta controverso,difettoso, magico, impalpabile, si nutre di erba e rimane chiuso in uno stanzino e non pensa a dio perché questo pensiero lo sconcerta. Un personaggio che si muove lungo il confine incantato, onirico e reale, dove solo Gabò , a mio avviso, sa aprire fessure su cui farci posare lo sguardo.
Un giovane Marquez che in questo suo primo racconto si muove tra passato e futuro dimostrando già la sua capacità di muoversi non solo all’interno di un genere letterario difficile, come il realismo magico sa essere, ma anche di possedere una grande capacità di sfruttare l’analessi.
Personalmente ho trovato deliziosi e affascinanti gli aspetti riguardati i rapidi e sagaci confronti di opinione tra il dottore e il colonnello -il nonno- ( un colonnello, l’amaca e una veggente non mancano mai nei tesi di Marquez, questo per via della sua infanzia passati con i nonni, Veggente lei ex colonnello lui ) meno appassionanti invece la parte in cui si fa carico di esporre i pensieri della figlia Isabel e del di lei figlio . Per quanto anche la figlia sia utile nel tratteggiare l’aspetto del dottore. Il bambino invece sta più a rappresentare il rapporto con la morte e il punto di vista attraverso gli sguardi dell’innocenza.
Una particolarità che ho scovato su “wiki”, che non mi sento di interpretare, il titolo originale nella lingua madre è: “La hojarasca” e sta ad indicare quel mulinello di foglie secche che vediamo spesso alzarsi nelle giornate secche, quando le leggere brezze estive le accarezzano, ma sta anche ad indicare il ciarpame o il pattume.
Personalmente l’ho trovato particolarmente adatto al testo, in ognuno dei tre significati che la parola rappresenta.
Buona lettura a tutti!
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Commenti
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La struttura narrativa, se si pensa che è del 5, fa pensare a certi contemporanei che si gongolano di aver trovato forme narrative nuove, quando in realtà erano già state sperimentate in passato.
"Foglie morte" ha in potenza tutta la forza che Marquez dimostrerà nel tempo, ha i germogli di ciò che sarà, un piccolo gioiello che insieme a "L'incredibile e triste storia della candida Erendira e della sua nonna snaturata" hanno un posto di tutto riguardo nella mia memoria.
Io non ho mai vissuto storie che ti trascinano e ti coinvolgono narrate meglio di come lo ha fatto lui sino ad oggi.
Lessi l'Alende: nella speranza di trovare quel sapore di caraibi e di magia, misto agli aromi e alle calure estive. "la casa degli spiriti" ma come lampi d'estate si spense prima del fragore del tuono. Come un accendino scarico, quando cerchi di accenderlo al buio: solo il riverbero di una scintilla nelle tenebre.
Che bellooo... Pia
Ma è merito del Maestro, mi ispira profondamente, forse anche troppo :-)
Mirko rulez :)
:-)
Quando si legge Marquez siamo a Macondo e tutto è intorno a noi, sembra quasi di sentire il calore sulla pelle o il ticchettare delle ossa nella nonna che si portano dietro di casa in casa.
L'Allende racconta delle storie, si può discutere se lo faccia in modo più o meno dignitoso, ma fa solo questo, almeno secondo me.
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