Dettagli Recensione
c'erano una volta, le donne.
L'autrice riscrive, reinventa e reinterpreta tredici fiabe in modo originale e anticonvenzionale. Le protagoniste sono donne ben diverse da quelle descritte nelle fiabe tradizionali: non troviamo principesse sognanti il principe azzurro o messe in pericolo da streghe e matrigne cattive, ma donne "moderne" il cui lieto fine è la possibilità di auto-determinazione.
La lettura di queste fiabe, ci permette di pensare all'essere donna senza censure e senza stereotipi, ai cambiamenti interni che nel viaggio della vita trasformano e ci rendono quello che siamo, quello che abbiamo deciso o potuto essere.
Possiamo provare a indovinare le fiabe originali come Cenerentola o Biancaneve, che hanno cambiato titolo, forma e significato, ma che derivano da esse, come se le stesse protagoniste delle fiabe originali abbiano subito un cambiamento, una evoluzione, diventando più reali e quindi più complesse e, secondo me, più affascinanti.
"Il racconto della scarpa" affonda le sue radici nella fiaba di Cenerentola, che è stata reinterpretata in chiave introspettiva: è la descrizione della vita interiore di una figlia che si trova ad affrontare il dolore e il senso di solitudine e vuoto per il lutto della propria madre.
Così le cattive sorellastre diventano i "cattivi" pensieri legati al profondo senso di colpa che spesso è legato al lutto di una persona amata.
"le grida erano tutte dentro di me. Fai questo, fai quello, pigro ammasso di sudiciume", è così che si sente la nostra Cenerentola: un ammasso di sudiciume, come se sentisse che il suo mondo interno è crollato e si è sporcato con la morte della madre, madre che sembra persa per sempre, "cercavo la voce di mia madre, ma non riuscivo a sentirla in mezzo a quel clamore".
Solo immergendosi nel dolore e nel senso di solitudine, non sfuggendo ad esso cercando di non pensare, la protagonista sembra poter trovare una via di uscita, recuperando dentro di sè l'immagine materna, "l'albero della madre".
Così la fatina buona mi sembra rappresentare la capacità riparativa dei "buoni" pensieri, del ricordo della madre, che quindi non è perduta per sempre. Al ricordo della madre è legata la possibilità di ricostruire il proprio sè tramite la buona fatina: "come posso descrivere la trasformazione? il mio vecchio polveroso Io fu filato a nuovo. La donna mi rivestì di blu, danzavo su punte di cristallo". Il lieto fine non è determinato dal principe azzurro, ma da un movimento interiore che permette a Cenerentola di decidere di andare avanti, di vivere "come ballare un valzer senza avere il capogito".
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Aggiungo senza dubbio in wl...grazie :)