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38 danze
Se la tristezza e la felicità, le risate e le lacrime, la realtà e l’assurdo dovessero danzare insieme a braccetto, sarebbe proprio in questi piccoli, grandi, semplici e complessi racconti.
Trentotto storie che non sono altro che trentotto balli diversi a cui si assiste e si prende parte provando di tutto, fuorché l’imbarazzo.
Infatti qui non bisogna essere esperti per poter ballare: serve forse la perfezione nell’immenso e lungo ballo della vita?
Perché questo libro parla di vita, raccoglie vite d’ogni genere.
Vite di persone, oggetti, animali che vanno dalla realtà più comune e ordinaria fino all’irrealtà più assurda e inconcepibile, e la cosa più bella è che il sorriso sul volto del lettore non svanisce mai, nemmeno quando si legge qualcosa di triste: si ride fra le lacrime, aggrottando la fronte, alzando le sopracciglia, confluendo così in una piacevole sensazione di appagamento, un po’come quando si legge una commedia greca o latina colma di volgarità e doppi sensi un po’fini a loro stessi, ma con una gran tenerezza insita.
Quasi tutti con un finale aperto, il che a mio parere ne aumenta la bellezza, i racconti non mancano di citare frequentemente problemi tipici della nostra società, ma soprattutto di Israele, patria dell’autore, che appare in questo modo come un mondo non così diverso e distante dal nostro che viene così deriso, analizzato, confutato.
Secco, incisivo, colloquiale e umano, ma assai raffinato, lo stile di Keret è una decorazione: rende ancora più bello ciò che non dovrebbe esserlo, giungendo perfino a regalare uno splendore così eccessivo da sfociare in un amabile e gradevolissimo senso del burlesco.
Ciò che è cupo e oscuro viene illuminato e ciò che è sereno viene sminuito o accresciuto in maniera alterna.
Che altro dire se non riportare la frase presente sulla quarta di copertina di questo bellissimo libro?
“Etgar Keret è un genio”.
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