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SENZA PIETAS
Come un Verga, privato della sua pietas, Solzenicyn si eclissa dietro l’alienazione dei suoi personaggi: la brutalità del totalitarismo comunista toglie alla letteratura le qualità catartiche e consolatorie, relegandola al ruolo di documentazione neutra di un esistente immobile, senza prospettiva di futuro. La condanna di Ivan Denisovic consisterà infatti nel reiterare fino alla morte la sua giornata nel campo di lavoro staliniano. Ed è un'eternità, dominata dall’ossessione di ripararsi dal freddo, di placare la fame e il bisogno di sonno: ricordi, emozioni e pensieri sono scomparsi dalla mente di Ivan. La soppressione dell’individuo ha depauperato anche lo scrittore che dovrebbe cantarne in qualche modo l’epopea: cosi lo stile non è altro che una registrazione fredda, persino monotona, di momenti insignificanti. Se Ivan è una vittima, il protagonista del terzo racconto “Alla stazione”, il tenente Zotov, “l’uomo sovietico” sta dalla parte dei carnefici: anche qui i diktat dell’ideologia corrodono la coscienza fino a costringerla alla più disumana delle azioni. “La casa di Matrjona”, racconto posto al centro della trilogia, è la ricerca di un’alternativa alla distopia staliniana nella mitezza della vecchia contadina Matrjona, simbolo dell’anima russa, il “Giusto senza il quale non esiste” la terra nostra: il suo destino è segnato però dall’emarginazione, persino le esequie di lei offrono un triste spettacolo della meschinità della natura umana. Il male è più forte del bene, lo dimostra la Storia, ma di entrambi se ne serba memoria, anche se le voci sono “rauche” e “ discordi”
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