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L'inconscio è servito
La fantasia è sovente frutto dei nostri timori inconsci e si riflette in visioni oniriche in cui paure varie appaiono dilatarsi, pur in un quadro reale, determinando uno sfogo e in tal modo metabolizzando quel tanto o quel poco di oscuro che è dentro di noi.
Quando c’è la capacità letteraria di narrare questo processo nascono dei racconti che hanno un origine comune, avvolti da un’aria di mistero propria di ciò che non conosciamo e che perciò non riusciamo a spiegarci.
E’ il caso di Archetipi, raccolta curata da Luigi Acerbi e da Daniele Bonfanti, che figurano pure fra gli autori.
Sono dodici racconti con cui il mistero e l’inconscio si esplicano in narrazioni accattivanti, quando addirittura non avvincono il lettore, e che costituiscono, oltre che motivo di svago, anche un interessante studio della psicologia umana.
Come sempre accade in questi casi ce ne sono alcuni che mi sono piaciuti maggiormente e altri meno, fermo restando però una comune innegabile rilevante qualità.
Fra quelli che più mi hanno colpito per il pathos che riescono a creare e per lo svolgimento che è più aderente alla realtà, pur se immersa in un contenitore di fantasia, ricordo in particolar modo jay.rtf (Lake Effect), in cui le paure recondite emergono con Pazuzu, il demone del vento, che trova una consacrazione nel reperto archeologico di una statua che lo rappresenta. L’autore, Danilo Arona, sembra volerci dire che sta a noi non materializzare il nostro inconscio.
Sempre inserito nell’archeologia è anche Il Diluvio, di Daniele Bonfanti, dove con il ritrovamento della mitica Arca con il suo Noè, risvegliatosi dopo millenni, si esprime il timore latente di una nuova tragedia, con l’innalzamento delle acque, per effetto dello scioglimento dei ghiacci.
La Fenice di David Riva, che ho particolarmente apprezzato per il linguaggio metaforico, con la forte carica della verità tale da prevalere sulle forze del male, è un appassionante duello in un campo di reclusione sovietico. Per descrizioni dell’ambiente, per l’atmosfera rarefatta, secondo me questo è il migliore dei dodici.
Ma anche Matmon, di Strumm, e Sirene, di Samuel Marolla, evidenziano timori ancestrali, con un percorso narrativo che avvolge il lettore in una spirale, senza poi dimenticare Di Madre in Figlia, di Biancamaria Massaro, che tratta con finezza psicologica nuove paure rivenienti da conquiste allucinanti della scienza.
Un discorso a parte, stante una forte componente filosofica , è invece quello che merita Il Cartografo, di Alberto Priora. Il suo è un fantastico atipico di grande creatività, ma è anche un discorso sulla continua ricerca da parte dell’uomo dei suoi limiti. Alessandro il Macedone teso alla conquista del mondo non riesce a concretizzare un’ossessione che è anche il destino di chi vuole conoscere completamente se stesso.
Non è che gli altri cinque racconti siano minori o che non possano essere considerati meritevoli di lettura, perché anche per essi il piacere è assicurato, ma, a differenza di quelli che ho citato, non hanno lasciato in me un segno così forte da costituire motivo di particolare approfondimento.
Nel complesso, comunque, consiglio caldamente di leggere Archetipi, perché sono certo che in questa antologia tutti potranno trovare più di un motivo d’interesse, oltre a trascorrere ore indubbiamente gradevoli.