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Città nuova
Più che una forte scarica di un temporale, trattasi di uno scroscio improvviso di acqua piovana, che però, a causa di un forte vento che spira in senso contrario, crea un turbinio tale che le gocce di pioggia colpiscono il malcapitato di trasverso. Quindi non c’è ombrello che tenga, è battaglia persa proteggerci dall’acqua con il vento che gonfia il parapioggia in senso contrario, come una vela in balia del maestrale, a rischio di strapparcelo di mano, ci bagniamo lo stesso di piovaschi che ci beffano trasversalmente, siamo destinati a soccombere alla ria sorte, e a inzaccherarci comunque senza rimedio, per quanti sforzi facciamo con l’indomabile paracqua, inclinandolo per ripararci in qualche modo. Come dire, un fluire spiovente sorto inatteso e sgradito, fastidioso: un po' come un nostro antipatico e petulante conoscente, in cui ci siamo disgraziatamente incappati mentre eravamo presi dalle nostre faccende. Senza manco salutarci o perdersi in convenevoli, costui con voce querula attacca bottone e inizia a spettegolare di tutto e di tutti, taglia i panni addosso a chiunque ha la sventura di conoscerlo magari solo superficialmente, magnifica solo sé stesso, la sua sagacia e la sua oculatezza, senza interrompersi un momento per dare agio di qualsivoglia replica, e parlandoci sopra letteralmente si pone di trasverso, ci rimbambisce di chiacchiere futili, inzaccherandoci di fango.
Ecco, questo usuale tipo di umanità, anche molto comune, che è importuno e ci importuna nostro malgrado, a Napoli si usa dire che è uno che: “parla a schiovere”, vale a dire blatera fastidiosamente.
Tutt’altra cosa invece è “A schiovere”, l’ultimo lavoro di Erri De Luca; dove lo scrittore napoletano, però, prende il termine a prestito dalla saggezza popolare indigena sua per indicare come nascono i suoi raccontini: d’improvviso, mettendosi poi di trasverso rispetto a quanto stava già facendo, magari di urgente, mentre pensava e si industriava in ben altro, ma è colpa del suo estro potente che non lo molla più, lo spinge a costo di mettersi di trasverso sulla sua strada a scrivere, e per nostra fortuna a condividerci il suo pensiero. Pensieri, scritti e riflessioni che non ci vanno mai di trasverso come un boccone malandrino, sono invece gustosi, prelibati, ma non solo, anche essenziali nei sapori.
Erri De Luca è fortunato titolare di una scrittura scarna, asciutta, lineare, nessuno dei suoi libri conta mai molte pagine, sia che si tratti di romanzi, di saggi, di cronache, De Luca padroneggia la sua lingua e il suo dialetto, si cimenta finanche nell’ebraico, ma sempre usa poche parole, le più adatte alla bisogna, e sempre straordinariamente esaurienti, appropriate, esaustive, convincenti.
Qui lo scrittore napoletano ci presenta quello che a prima vista sembra un glossario, un vocabolario di voci e modi di dire nel dialetto della sua città. In verità, è ben altro, solo un titolo, un pretesto per dire di più, non “a schiovere” ma direttamente, incisivamente e senza tanti giri di parole; e mentre lo dice tende ad infarcirlo della memoria delle sue origini, dei suoi natali, aromatizza di gusto il suo dire con il racconto a volte comico, altre curioso, sempre istruttivo, dei suoi primi anni di vita, di studi, di lavoro nella sua Napoli, Nea-Polis, città nuova, perché è la sola che sa, che conosce e che si rinnova sempre pur restando sempre fedele a se stessa. L’esistenza dell’autore si è poi snodata e proseguita in altri lidi, ma Erri de Luca tuttora pensa in napoletano e racconta in italiano, ne viene fuori un felice connubio che piace, intriga, ammalia. De Luca è stato liceale del classico, operaio di infimo rango, politicamente impegnato come fondatore ed attivista di gruppi dell’estrema sinistra; partecipe in prima persona, rischiando più volte la morte, nelle iniziative di soccorso umanitario in zone di guerra; alpinista e amante della montagna e delle solitudini da eremita; studioso autodidatta di lingue straniere che padroneggia alla grande, tra cui yiddish e l'ebraico antico, traduttore della Bibbia, ma prima di ogni altra cosa, è un poeta, un osservatore, un romanziere: e racconta, e ci racconta. Racconta bene, con voce roca, esponendo i fatti essenziali, e dispensandoci leccornie di vita e di esperienze vissute in prima persona. Con parole scarne, austere, non è che qui si diletta a vantare la sua conoscenza del lessico arguto ed intelligente dei suoi conterranei, ne fa invece un discorso basilare di vita e di valori, ci offre un dizionario di sostanza e di concetto, sa che gli uomini che vivono mille difficoltà acquistano in saggezza e tolleranza, e l’uomo così fatto sapiente è un faro che indica il porto giusto ai suoi simili. Da qui nascono i detti brillanti, significanti, ironici e mordaci, millenari, qui riportati; giacciono sedimentati nelle antiche pieghe di una città che è spalmata su un golfo priva di difese naturali, e perciò nei secoli ha accolto tutti, e da tutti ha imparato, assorbendone il meglio, rimescolandolo con i propri posti e luoghi, usi, sapori, persone e costumi, così rimescolandosi ex novo e declamando il discernimento, l’oculatezza e la saviezza così acquisita nel tempo spennellandola nel proprio idioma. Adattabili a tutti, specialmente ai non napoletani: siamo tutti desiderosi di cittadinanza di una Nea-Polis, una città nuova clemente, aperta, disponibile, tollerante e gentile. In sintesi, umana.
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