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La traccia lasciata da Michela Murgia
Pur non essendo l’opera migliore di Michela Muria, la sua personalità emerge anche in questi dodici racconti esemplari: narrano di situazioni complesse, che sembrano completarsi l’una con l’altra e nelle quali i protagonisti vivono periodi di crisi e affrontano situazioni inattese o speciali della loro vita, cercando cambiamenti radicali o alternative al di fuori di consuetudini banali e già sperimentate.
Come quando, ad esempio, nel racconto “Tre ciotole” l’autrice trova una semplice soluzione ai suoi problemi di salute (nausea e vomito incoercibile): prepara tre ciotole, con riso, pollo e pesce bianco, verdure, attingendo a ciascuna di esse al bisogno e al di fuori di schemi fissi ed orari canonici. Decisioni che spezzano abitudini collaudate e che vanno prese con coraggio e con la determinazione di chi non vuole più saperne di schemi e preconcetti collaudati.
Anche nel racconto “Utero in affitto” la protagonista esce dagli schemi consueti. Afferma, molto coraggiosamente, di odiare i bambini, tutti indistintamente, “pezzi di bisogni infiniti, incapaci di fingere”. Vuole un figlio, con l’impianto, ma non un uomo: il figlio sarà di suo padre, che lo vuole, ma non della madre biologica, che si presta solo ad affittare l’utero. La procedura non sarà certo semplice, perché, afferma, “ viviamo in un paese infame, dove avere prole non è un diritto della persona ma solo della coppia”.
Ma il racconto più singolare ed enigmatico è “Cartone animato”, il più lungo, articolato in nove brevi sottocapitoli: la protagonista, delusa dalla monotonia di una vita sempre uguale, si innamora di una sagoma di cartone (raffigura Park Jimin, un cantante sudcoreano dal fascino fanciullesco), la porta a casa e, per timore di essere derisa, la chiude in un armadio. La sagoma sembra animarsi, lei si illude che così sia, ai suoi occhi rappresenta l’alternativa ad una vita di coppia stanca, fatta di finzioni e routine. La compagnia della sagoma rivitalizza la donna, la fa sentire meglio e la riconcilia con la vita.
Uscire dagli schemi consueti, rompere con la routine, vivere cambiamenti radicali per sopravvivere: è singolare che Michela Murgia, alla quale viene nel primo racconto (“Espressione intraducibile”) diagnosticato un tumore, conceda ai suoi personaggi orizzonti di speranze e stimoli a cambiare schemi di vita ed a cercare nuove emozioni. Da inguaribile ottimista, perché non può che essere considerata ottimista una che crede fermamente in un mondo migliore e più “giusto”, esprime nei racconti tutta la sua vitalità attraverso le emozioni dei personaggi ed il loro desiderio di nuove esperienze.
Ha difeso strenuamente elementari diritti civili fino a definire ed a farci comprendere il concetto di “famiglia queer”, nella quale i componenti non sono costretti a conformarsi alle norme di genere tradizionale, e di “figli d’anima”, i suoi quattro, così definiti perché Michela non aveva figli naturali.
Michela Murgia non c’è più: ha lasciato comunque una traccia che non sarà facile cancellare.
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