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«Tutto si accomoda, volendo»
Un variopinto mondo viene descritto tra una storiella di paese e l’altra dall’ultimo Piero Chiara. Il contesto è quello del lago Maggiore, quello più congeniale allo scrittore di Luino. Ci si muove tra la provincia di Varese, quella di Novara e la vicina Svizzera. L’arco temporale è piuttosto ampio perché si parla di un periodo compreso tra l’ultima età fascista e gli anni successivi al miracolo economico italiano. La narrazione è in prima persona e a parlare è il signor Giuseppe Cuniberti, attento osservatore della vita della sua provincia. Egli stesso affermava di essersi «solo divertito moderatamente, con le donne come con le carte e anche con i libri, per ingannare il tempo e per riuscire a sopportare la noia della vita di provincia». Cuniberti è abbastanza ricco da non poter lavorare e attraverso una narrazione aneddotica ricostruisce alcuni fatti che ha vissuto direttamente sulla sua pelle e ne illustra altri che gli sono stati raccontati da terze persone. Il Cuniberti è il prototipo del dongiovanni. L’atmosfera di ciascuno dei sedici racconti è gradevole e domina senz’ombra di dubbio la leggerezza, anche se poi alcuni fatti hanno comportato dei problemi alla folla di personaggi che popolano i brevi racconti di Chiara. Lo scrittore di Luino riesce ad alternare nel migliore dei modi l’aneddoto malizioso e il piccante scorcio di costume, riesce a equilibrare al meglio le due componenti e ne guadagna l’autentica umanità dei personaggi. Inoltre, ne esce un bel affresco di un’Italia sempre vitale nei diversi decenni presi in esame. Lo stile proposto da Chiara è per lo più colloquiale e la pagina scorre via veloce.
Nel racconto Alla luce delle stelle emerge bene il tema della fuga di molti italiani del Nord Italia nella vicina Svizzera durante gli anni più cruenti della dittatura fascista e durante i feroci scontri della Seconda guerra mondiale, tanto che l’ultimo racconto (Trenk, il mansueto) restituisce uno splendido spaccato dell’estate 1942 che viene definita «sospesa fuori dalla realtà e addirittura fuori dal tempo, durante la quale il popolo italiano, abbandonato a un’ultima vacanza, parve dimentico di se stesso e indifferente al proprio destino». La confederazione elvetica viene descritta con queste parole: «La Svizzera era un’isola circondata dalle fiamme, dentro la quale vivevano milioni di uomini liberi e decine di migliaia di profughi militari e civili». In Come se la cavò Cavalcalovo l’autore definisce bene le cronache quotidiane della via di provincia, le quali ispirano ciascuno dei sedici racconti della raccolta. Si legge: «Ma il tempo, la noia della vita di provincia e i veleni che nei paesi si nascondono dentro i più quieti recessi, cominciarono presto a sfumare i contorni dell’immagine che il Cavalcalovo aveva presentato al suo arrivo». È il pettegolezzo che muove i fili, anche perché nella maggior parte dei casi il tema centrale dell’aneddoto è il tradimento o l’avventura amorosa proibitiva (come quando il Cuniberti si innamora di una liceale o come quando allaccia una relazione con la moglie del capostazione). Essendo il pettegolezzo così preponderante, è interessante analizzare anche la portata di quello che si è venuto a sapere da terze persone perché, come spesso accade, tanti fatti vengono travisati, ingigantiti, modificati. Scorrono così le figure umane che svaniscono dopo poche pagine nell’aria, perché in fondo nella nostra esistenza sfioriamo, viventi o trapassati, cogliendone solo un nome, un gesto, un aspetto, vero o falso, dell’esser loro. E poi tanti personaggi danno proprio l’idea di vite sprecate, quasi gettate al vento («Martiri di nessuna fede, ombre che sono passate senza lasciare un segno»).
I pretesti da cui prendono avvio le narrazioni sono dei più svariati; il più singolare riguarda il racconto Che tempi, che fichi, nel quale il pretesto è proprio il fico che, come scrive Chiara, dalla Persia alle Canarie «è presente in tutta la zona nella quale si è svolta la civiltà umana». «Il fico ancora occhieggia e si fa presente, individuo ben caratterizzato che in bene o in male ha sempre fatto la sua parte tra i vegetali e tra gli uomini» conclude lo scrittore. Direi che alla fine, una delle morali che emerge da questa simpatica carrellata di aneddoti è che «tutto si accomoda, volendo», perché tutto può essere più forte del pettegolezzo.
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