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Dialoghi con Leucò
 
Dialoghi con Leucò 2022-03-22 22:35:31 topodibiblioteca
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
5.0
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4.0
Piacevolezza 
 
4.0
topodibiblioteca Opinione inserita da topodibiblioteca    23 Marzo, 2022
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Nell'Olimpo della letteratura

“Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”. Queste le ultime parole che Cesare Pavese lascia ai posteri la sera del suo suicidio, scritte proprio sul frontespizio di questo suo libro con il quale evidentemente il legame emotivo è molto intenso.

Dialoghi con Leucò rappresenta il testamento di Pavese, un libro scritto con l’intenzione di (ri)proporre la mitologia greca nella letteratura italiana post bellica, perché secondo l’autore il mito è un linguaggio, “un vivaio di simboli cui appartiene, come a tutti i linguaggi, una particolare sostanza di significati”. Attraverso la rappresentazione sotto forma di brevi dialoghi, sempre a due, di alcuni tra i più celebri miti antichi, Pavese può permettersi così di affrontare tematiche a lui care.

A partire dalla “Nube” in cui il giovane e temerario Issione non teme di sfidare gli dei ascendendo verso il monte della loro dimora nonostante gli avvertimenti della Nube (“Quello che tu compi o non compi, quel che dici, che cerchi – tutto a loro contenta o dispiace”).

Il fascino della morte esercita su Pavese una malia irresistibile, quasi sembra anticipare il suicidio come sfida al destino, come desiderio di oltrepassare la vita, soluzione alle pene d’amore terrestri. Così viene raccontato ne “La belva” in cui lo Straniero, dialogando con Endimione gli ricorda che “Ciascuno ha il sonno che gli tocca…..La solitudine selvaggia è tua. Amala come lei l’ama. E adesso, Endimione, io ti lascio. La vedrai questa notte”.

Ancora il tema della morte ma in questo caso all’opposto, intesa come fuga dall’Ade, come ricerca di sé stessi e anelito nei confronti della vita, lo si denota ne “L’inconsolabile” che ripropone il mito di Orfeo ed Euridice. Orfeo rinuncia alla sua amata una volta giunto nell’aldilà, perché la paura della morte, di rimanere invischiato è troppo forte e considera Euridice oramai perduta per sempre (“Io cercavo, piangendo, non più lei ma me stesso”).

Anche in “Schiuma d’onda” tornano le riflessioni su morte e destino in un dialogo tra la poetessa Saffo e la ninfa Britomarti. Entrambe suicide, entrambe in lotta col destino alla ricerca di un’autodeterminazione perché come dice Saffo a proposito del destino: “Non l’accetto. Lo sono. Nessuno l’accetta”.

Sono solo alcune citazioni dei Dialoghi con Leucò, o Leucotea, divinità femminile che appare più volte come dialogante e sotto le cui spoglie si cela l’ultima donna amata dall’autore. Un testo che fa dello stile poetico la sua ragione d’essere. Tuttavia stile e contenuto sono talvolta criptici, non sempre di facile comprensione, tanto da richiedere più riletture e approfondimenti. Questi elementi rappresentano forse il vero limite di una lettura capace di svelare l’intimità più profonda dell’autore ma che allo stesso tempo la pone distante dalla prosa più nota e accessibile di opere quali “La luna e i falò” o “La bella estate” ad esempio. Sono proprio queste difficoltà nell’apprezzare pienamente un libro così complesso, e sicuramente imputabili a miei personali carenze, a non permettermi di dare voto pieno a un lavoro che visti i temi trattati si colloca in ogni caso, e a pieno diritto, nell’Olimpo della letteratura italiana del novecento.

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Commenti

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Un libro che vorrei rileggere.
Non è un testo semplice, secondo me è criptico in modo voluto, come la poesia.
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