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Tutto è vita
Nel frammento di un dialogo, nella portata devastante di un intenso scambio di parole, nella eccelsa carica espressiva che le anima, nella musicalità di un quasi verso, nel loro significato più recondito, ma che appare immediatamente intuibile, è riposta tutta la forza e la malìa di quest’opera. Nella pagina che si anima di presenze ancestrali, tutto è logos, parola e pensiero insieme, verità e menzogna, sicuramente mistero e insieme finitezza. Impongono un limite, i dialoghi: alla ragione, al pensiero, alla struttura formale stessa della quale si nutrono. Vivono di una concisione perfetta e in essa si moltiplicano, ogni significante rimanda a eterni significati. Parlano gli dei. Parlano gli uomini. Dialogano tra di loro. Ricordano i primi un tempo che fu, loro che “non esistono; sono”; loro che sconfissero i Titani, loro che temono gli uomini che uccidono gli dei e che per “esprimere un fiore distruggono un uomo”. E gli uomini ambiscono a essere più che mortali nella loro impossibilità di vivere, combattono la noia, convivono con la propria sorte dalla quale non possono sfuggire, hanno paura degli dei e quando non li temeranno più li uccideranno, ma non sarà questo il loro destino perché come ricorda Circe ”l’uomo mortale, Leucò, non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia”. Netta è la separazione tra umano e divino, l’uno non raggiungerà mai l’altro perché il primo ha costruito il secondo e se ne nutre e vi si aggrappa ma “tutto quello che gli uomini toccano diventa tempo” e lì finisce l’immortalità. La ricchezza degli uomini è la morte, l’attimo che vivono e che non sanno cogliere nell'imprevedibilità preziosa dell’istante. Tempus fugit e “si daranno un passato per sfuggire alla morte” e ricorderanno la felicità vissuta.
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