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Il mare non bagna niente
Ecco, questo è uno dei casi in cui faccio fatica a reprimere la mia soggettività. Sì, perché non ho affatto amato quest'opera di Anna Maria Ortese.
Ma andiamo con ordine.
"Il mare non bagna Napoli" è una raccolta di cinque racconti, di cui quelli veramente godibili sono i primi due: interessanti quadri di una Napoli popolare e un po' disagiata, attaccata a tradizioni e consuetudini, e in certi tratti anche un pò squallida e ignorante. Non c’è in effetti da stupirsi se poi l’autrice sia stata malvista non tanto dal popolo, quanto dai rappresentanti politici napoletani, tanto da non poter reggere psicologicamente a un ritorno nella sua terra natia, come lei stessa specifica nell’introduzione. Lo squallore del contesto napoletano di quell’epoca è reso particolarmente vivido nel quarto racconto: drammatico testimone d'una realtà spaventosa, ma dove già si intravedono le lungaggini descrittive snervanti che poi troveranno l'apoteosi nell'ultimo racconto, che è davvero tra le cose più tediose e sconclusionate che abbia mai letto e che occupa ben metà del libro compromettendone, a mio parere , quanto di buono è stato fatto soprattutto nei primi due racconti.
Nella seconda parte infatti, "Il mare non bagna Napoli" si trasforma in non so bene cosa; qualcosa a metà tra il saggio e il racconto narrativo, che pare abbia finalità di critica verso gli intellettuali napoletani dell'epoca. Il lettore è tuttavia stordito dalla quantità sproporzionata di informazioni: un viaggio in tram in cui l’autrice descrive nei minimi dettagli tutto quel che succede, quel che c'è al lato destro della strada, al sinistro, a sud-est e nord-ovest; a tavola si descrive chi è seduto nello spigolo destro che ha un angolo di novanta gradi e chi allo spigolo sinistro, di angolo ottantotto per chissà quale forza soprannaturale; si fanno nomi su nomi... snervante, davvero. Ciliegina sulla torta: lo stile composto da frasi lunghissime, piene di virgole e in cui i punti sono merce rara. Niente contro questo tipo di scrittura: anzi, se correttamente maneggiata può essere uno strumento potentissimo; ma per come la vedo io non è questo il caso.
Non prendete le mie parole per oro colato, ma la mia opinione è che possa valere la pena leggere solo metà di questo libro. Lo ammetto, stavolta non ho davvero potuto evitare di inquinare il mio commento con un po' di soggettività. Ma certe volte, ragazzi, davvero non ce la faccio.
“Lei, mai aveva parlato così, nel suo linguaggio c’erano entrate e uscite, o, al più, interessanti osservazioni sulla moda di quest’anno. Perciò, meravigliata e abbattuta, come chi scorge per la prima volta un paese misero e silenzioso, e gli dicono che lì ha vissuto, credendo di vedere palazzi e giardini dove non erano che ciottoli e ortiche, e considerando in un baleno che la sua vita altro non era stata che servitù e sonno, e ora stava per declinare, smise di passeggiare, guardandosi intorno con aria stupita.”
P.S. Questa citazione è presa dal secondo racconto, molto bello, che mi aveva fatto ben presagire. In effetti, i primi due racconti sono l’unico motivo per cui il mio voto non è una stroncatura completa. Davvero un peccato la deriva in cui si cade in seguito.