Dettagli Recensione
Alla fine il vuoto
Molto ci sarebbe da dire su Pier Vittorio Tondelli e su questa sua opera prima, “Altri libertini”, pubblicata nel 1980 e riflesso crudo e cangiante di quella generazioni di giovani italiani dispersi nelle fanfare degli anni ’70, tra comitati, gruppi di intervento, aspirazioni artistiche, frustrazioni politiche. L’opera di Tondelli è, non a caso, continuamente in bilico tra la rappresentazione politica e quella sociale, o meglio, nel seguire i suoi personaggi, con la mollezza abbandonata di un trip da canapa, dipinge, suo malgrado, l'affresco di un certo mondo, fatto di droga, soprattuto, e di sesso, più di tutto. Tondelli è crudo nelle sue descrizioni, non risparmia nulla al lettore, tra travestiti che si prostituiscono per un quartino di droga, etero confusi o affetti da un insanabile machismo e gay che, incuranti di ogni malattia sessualmente trasmissibile, cambiano partner ogni mese, ogni settimana, ogni giorno. Di sesso omosessuale abbonda il libro, spesso sporco, stordente, un massacro volontario; tenero, raramente, quando una soffitta è riparo dal male del mondo e un abbraccio sembra tenere alla larga le tempeste più dure. Serve stomaco per oltrepassare certi passi, tra vene bucate e crisi di astinenza, stupri descritti così alla leggera, quasi fosse normale, come quando per salvare un amico che non si droga da troppi giorni e che ha perso il controllo di letteralmente ogni sfintere, un travestito non solo si prostituisce per ottenere una dose ma, appurata l’assenza di vene sul braccio del malcapitato, decide di masturbarlo in un bagno, con tanto di provocazioni erotiche, per trovare un vaso su cui fare l’iniezione. Non bisogna essere delicati per sopravvivere alla lettura, anzi inghiottire amarezza su amarezza e contemplare il silenzio, il vuoto sempre più famelico e spalancato che inghiotte ogni personaggio alla fine della sua storia, quel senso lacerante di un’assenza che è il lato oscuro da cui provano a fuggire, ma l’eterno aguzzino che li aspetta alla fine dei giochi, quando ogni illusione si è spenta e ognuno si ritrova da solo con se stesso.
Romanzo per episodi, sei in tutto, “Altri libertini” fu, ovviamente, accusato di oltraggio del pudore. Censurato, rese ancora più celebre il suo giovane autore e anzi ne fece l’emblema della comunità gay degli anni ’80, uno capace di scrivere su carta i timori e le agitazioni di un’intera generazione, la sua siderale impreparazione ma anche la sua voglia di contare qualcosa. Eppure Tondelli, scrittore a sua volta omosessuale, cui perfino la madre aveva detto che sarebbe finito come Pasolini e che morì poco più che trentenne per le complicanze dell’AIDS, non si riconobbe mai nel ruolo di intellettuale gay e anzi nell’edizione Bompiani successiva chiese di epurare le bestemmie e le scene più scabrose, come in un pentimento postumo che lo condurrà anche ad un riavvicinamento al cristianesimo prima della morte, nella sua odiata e bistratta, ma mai dimenticata, Correggio.
Cercando su Google, “Altri libertini” è spesso valutato più per il suo autore che non per l’opera in sé: alcuni, follemente, ne chiedono una “lettura gay”, altri ne vogliono una “valutazione politica”, altri ancora lo interpretano alla luce dell’autobiografia dell’autore. Tralasciando tutto questo, il merito maggiore di questo libro è certamente nel bellissimo stile che Tondelli dimostra di possedere, capace di variare nella mimesi linguistica più estrema, dal linguaggio giovanilissimo dei ventenni, alle pause liriche, fino al sarcasmo parodico dei modelli alti, passando per per tutta una gamma di toni e stili che lo rendono intellettualmente molto godibile. Per temi e contenuti, si salvano i primi tre episodi di questo romanzo antologico: gli ultimi tre, recuperando il modello droga-sesso gay-gioventù allo sbando non fanno altro che sfinire quanto già era stato detto e non aggiungono nulla, tranne forse nell’ultimo una serie di dichiarazioni poetiche abbastanza godibili. Un libro disturbante, che non sempre riesce a sfuggire al cliché più antipatico, violento e un po’ troppo ripetitivo, sicuramente non adatto a lettori troppo impressionabili e che sconta, a mio avviso, una certa protervia tutta giovanile e che in questa dimensione scricchiola oggi sotto il peso del tempo. Come ha da dire uno dei personaggi, nel solito tono casto e pudico del libro, “ho imparato più da un pompino che da vent’anni di esami”. Altri libertini docet.
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Commenti
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Non ho mai letto questo autore neanche quando andava molto di moda.
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