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"L'amor che move il sole e l'altre stelle"
Questo libro è una minuziosa indagine dell’aspetto più determinante e rivoluzionario della vita, che è anche la principale ispirazione di tutta la letteratura: l’amore. Come in una sorta di romanzo di educazione sentimentale, Alessandro D’Avenia ci conduce per mano per questo affascinante viaggio attraverso l’interpretazione del mito, che contiene sempre molte verità nascoste, in particolare quello di Orfeo ed Euridice e la sua rispettiva incarnazione nelle svariate vicissitudini amorose di celebri artisti. Affida il loro racconto a testimoni che li hanno conosciuti da vicino o a lettere e documenti che descrivono la loro esperienza affettiva. L’amore assume i mille volti che corrispondono alla diversa natura dei suoi attori. Può essere passione distruttiva, come la tormentata vicenda dei poeti Silvia Plath e Ted Hughes, che si conclude con il suicidio di lei, o quella turbolenta di Zelda e Scott Fitzgerald, che finiscono entrambi simbolicamente bruciati dal fuoco, lei in un incendio dopo essersi ricoverata in manicomio, lui mentre cerca di attizzarlo mentre conviveva con un’amante; o ancora Elizabeth e Dante Gabriel Rossetti, il quale “riuscì a conquistarla e a mandarla nella tomba”, avvelenata dal laudano in cui affogava il suo dolore di essere tradita e non amata; poi Camille Claudel, sorella del grande poeta, e lo scultore Auguste Rodin, il quale ne fa materia per la sua arte fino a farla diventare pietra essa stessa, cavandole anche l’anima, per cui finirà al manicomio. Sono relazioni devastanti, quando a prendere il sopravvento sono l’egoismo e l’orgoglio virile, mentre la donna che ama e si sacrifica è la debole vittima che più ne subisce gli effetti. Sono storie maledette, caratterizzate da eccessi come l’alcool, come Dylan Thomas con Caitlin, dalla pazzia, come Van Gogh e Sien, prostituta che invano ha cercato di redimere, Modigliani e Jeanne, la quale, dopo la morte del marito per tisi, si lancia dal quarto piano, con in grembo il suo secondo figlio. O invece amore è cura nella malattia, come Tess con lo scrittore Raymond Carver, che nei suoi ultimi anni di vita è avvolto dalla sua tenerezza premurosa, Anna con Dostoevskij, devastato dal vizio del gioco e dagli attacchi epilettici, che ella cerca di proteggere fino alla fine, Olga con Ezra Pound, di cui si prende cura sino alla morte, Karen con David Foster Wallace, che purtroppo non riesce a strappare alla depressione, trovandolo appeso ad un soffitto. O è anche un’esaltante e duratura intesa di due vite che s’intrecciano e s’amalgamano felicemente nella trama del loro amore, come Bach e Anna Magdalena, sposa fedele e madre di ben tredici figli, consapevole di trovarsi un po’ sulla soglia dell’adorazione dinanzi al mistero del suo talento, di cui lei si fa rispettosa ancella. Inoltre, è la sofferta e appassionata tenerezza di una vita condivisa di Tolkien e Edith, o il perfetto sodalizio tra il regista Federico Fellini e l’attrice Giulietta Masina, tra Alfred Hitchcock e Alma, Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Licy. E poi sono amori impossibili e infelici, come quello di Kierkegaard per Regine, che lascerà per amore geloso della filosofia e scrupoli di coscienza, di Pessoa per Ofelia, in cui anch’egli rinuncerà a lei, posseduto dai propri personaggi fino alla follia. È l’amore proibito di Hörderline per Susette, donna sposata, che pagherà lei con la morte e lui con la pazzia, così come Pedro Salinas e Katherine, cui dedicò il più bel canzoniere in lingua spagnola, La voce a te dovuta. È l’infatuazione non corrisposta di Leopardi per Fanny Targioni Tozzetti, che gli ispirerà il ciclo di Aspasia e che farà ammutolire brutalmente il suo cuore; la relazione di Amalia Guglielminetti e Guido Gozzano, che dopo appena una parentesi di realtà si nutrirà esclusivamente di finzione letteraria; o ancora l’attrazione di Pavese per Constance, la cui disillusione lo porterà al suicidio.
Vi sono vicissitudini amorose che hanno scavalcato e attraversato gli orrori della guerra, che sono sopravvissute al campo di concentramento: quello di Milena per Kafka, di Ingeborg per l’infelice Paul Celan, reduce dal trauma dell’olocausto, che non supererà mai, gettandosi infine nella Senna; di Nadežda per Osip Mandel’štam, il poeta russo inviso al regime che bruciò tutti i suoi scritti, i quali riuscirono a sopravvivere grazie alla memoria della donna che li custodì e tramandò; di Miklòs Radnòti per Fanni Gyarmati, la quale riconobbe il corpo del marito in una fossa comune e riportò alla luce le poesie che egli aveva scritto per lei, ciò che “mostra l’impotenza della Storia sull’amore.” O ancora, hanno sfidato la morte, come Julio Cortàzar e Carol Dunlop, entrambi malati terminali, i quali si concedono l’ultimo viaggio all’insegna dell’avventura e del gioco amoroso.
Sono dunque storie intense, inquiete, travagliate, tutte con un unico filo conduttore, quello di Arianna che non permette che ci si perda nel labirinto dell’esistenza: la forza titanica di un amore che oltrepassa ogni limite, finanche l’estrema frontiera della morte (“E quale amore riesce a farsi storia? Solo quello che non smette mai di avanzare, qualunque sia la tempesta che incontra”). Quando l’amore è dono reciproco, allora la vicenda è armoniosa ed epica (come per lo scrittore Tolkien) e attraversa le stagioni della vita intrepida, mentre se è passione incontrollata dell’ego è fuoco che brucia e distrugge; o ancora, se è unilaterale, uno dei due, solitamente la donna, soffre e s’immola per quell’ideale, sopportando i tradimenti, il cattivo carattere e gli eccessi. “Le storie d’amore tra gli artisti e le loro donne sono infatti tormentate, seducenti, tenere, folli, feconde, distruttive, devote, ancillari, cruente, giocose, eterne… e tutta la tavola periodica di possibilità che l’amore e il disamore offrono, soprattutto perché si tratta di un triangolo, nel quale la donna, in carne e ossa, vuole conquistare un territorio già occupato dalla Musa.”
Alessandro D’Avenia in questo affascinante viaggio nel mondo dell’amore si avvale, come guida, un po’ come Virgilio per Dante, del mito di Orfeo ed Euridice, il quale suggerisce tutte le tappe di quello che è un arduo cammino: dall’idillio iniziale, alla dolorosa perdita dell’amata, all’angosciosa ricerca che si addentra fin negli inferi, alla rielaborazione del lutto attraverso il canto, al trascendimento della morte accettando la propria, per poi ritrovarsi nella condizione di beatitudine assoluta, paradisiaca: questa è la vittoria del vero amore.
“L’amore è un grembo che tutto porta e sopporta, anche quando è una ferita che deve gestare affinché ne nasca un frutto più bello, e lo fa in ogni istante e in ogni centimetro del mondo. Salvarci dalla morte dobbiamo, e c’è solo un antidoto: riceverci dagli occhi e dal cuore di un altro che ci ama in tutte le manifestazioni della nostra mortalità: solitudine e silenzi, egoismo e fragilità, stanchezza e paura…e le ama perché sa che non sono che una piccola parte della verità su di noi. Solo così, almeno nel tempo, la morte è vinta, solo quando è amata in me da un altro. Solo così l’amore salva e si fa storia da raccontare. Ogni donna sa che essere è tessere, far rinascere ciò che sembra morire.” (p.308-309).
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