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Dieci pugnalate
Dieci racconti che prendono a prestito come titolo i dieci comandamenti per raccontare una realtà dalle proprie regole invertite, che non ha niente di religioso e non aspira alla salvifica redenzione. Perché qui l’unico comandamento possibile è sopravvivere, in qualche modo, come si può.
Dieci squarci di sofferenza. Perché la Napoli di Andrej Longo non è fatta di mare e chiari di luna, di bellezza e umorismo partenopeo, ma di crimine e miseria, di violenza e dolore.
Dieci pugnalate al cuore. Perché ogni parola è impastata di rabbia e desolazione. Quella di chi si fa allettare dal potere e dalla ricchezza, senza rendersi conto di stare rinunciando alla propria dignità. Di chi, per quieto vivere, chiude ogni giorno gli occhi. E di chi, a un certo punto, si accorge di non riuscire più a guardarsi allo specchio, di non sapere più cosa fare e cosa pensare.
“Non pensavo a niente, non tenevo niente da pensare, mi sembrava tutto regolare, normale. Mi mangiavo la vita a morsi. Senza che tenevo domande”.
È un libro di grande impatto emotivo perché ciascuno di questi racconti riesce davvero, con spietata lucidità e intensità, a farci guardare una realtà agghiacciante da angolazioni nuove, facendoci percepire sulla pelle una carrellata di emozioni: rabbia, rassegnazione, paura, costrizione. La sensazione di vivere in una bolla vuota in cui non c’è niente a cui aggrapparsi, né principi, né giustizia, né speranza. Di sentirsi stretti e intrappolati in una morsa, senza possibilità di scelta.
Lo stile è asciutto ed essenziale, punta al realismo sia linguistico, attingendo al registro del parlato e a espressioni dialettali, sia descrittivo, con un gusto per il dettaglio davvero apprezzabile, pur nella brevità del racconto.
In questo libro non si spiega la camorra e non si racconta il “Sistema” ma sono le vite, i pensieri e i fatti dei piccoli a parlare. E a lasciare il segno con la loro crudissima verità. Da leggere.
“E mentre abbracciavo mio figlio, ho pensato che non potevo fare più niente per lui. Potevo soltanto sperare che non diventava come a me. Solo quello”.
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