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La pazienza vale oro
“La possibilità di rialzarsi dopo ogni caduta; una remota, ereditaria, intelligente, superiore pazienza. Arrotoliamo i secoli, i millenni, e forse ne troveremo l’origine nelle convulsioni del suolo, negli sbuffi di mortifero vapore che erompevano improvvisi, nelle onde che scavalcavano le colline, in tutti i pericoli che qui insidiavano la vita umana; è l’oro di Napoli questa pazienza.”
Che grande narratore, Giuseppe Marotta!
Penna estremamente prolifica e versatile, l’autore campano tardò inspiegabilmente a riscuotere credito nell’ambiente letterario e riconoscimento di pubblico, fino alla pubblicazione, nel 1947, della raccolta “L’oro di Napoli”, opera che se non è un capolavoro, poco ci manca. Capolavoro di contenuto e, ancor più, di stile.
È la prosa, infatti, che cattura il lettore fin dalle primissime pagine, con il suo linguaggio così arguto, ricco di sorprendenti accostamenti semantici e guizzi vivaci, intriso non meno di una certa malinconica poesia. Napoli, la città dell’infanzia e della giovinezza di Marotta, è la protagonista indiscussa di queste pagine: come un grande e sconclusionato palcoscenico, essa mette in scena una assai folta e variegata umanità, quella che popola i caratteristici “bassi”, dove la vita spesso fatica a vivere e deve pertanto ricorrere alla sopraffina arte dell’arrangiarsi per sbarcare il lunario; dove il titolo di “don” non si nega nemmeno a un povero ciabattino; dove la fame si riempie la pancia coi lupini o, se si è fortunati, con il pane condito con olio e sale.
Trentasei racconti, trentasei piccole storie per un’opera corale di impeccabile neorealismo. Uno straordinario affresco di Napoli, e della sua gente dal multiforme ingegno, che prende le mosse dalle non felici vicende familiari dello scrittore stesso per poi aprirsi, pian piano, ai vicoli, alle piazze, ai quartieri della palpitante città partenopea, tra guappi, jettatori, nobili caduti in rovina, vetturini, mariti irreparabilmente in odore di corna, venditori di sberleffi e di saggezza.
Nel 1954 il grande Vittorio De Sica girò l’omonimo film a episodi tratto da questo libro: chi non ricorda il banchetto della pizzeria da asporto (“Mangiate oggi e pagate fra 8 giorni”) presso cui una giovane e ammaliante Sophia Loren era intenta a impastare pizze prima di accorgersi di non avere più al dito l’anello regalatole dal geloso marito?
“Donna Sofia trasalì, ripensando fulmineamente al marmo azzurro del comodino su cui la sera innanzi aveva dimenticato il gioiello.
«Mi sarà sfuggito mentre impastavo» disse a caso. «Ah Rosario, sarà in qualche pizza.»”
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Commenti
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Città straordinaria che un giorno mi piacerebbe molto visitare! :)
;-)
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