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La cappella di famiglia
 
La cappella di famiglia 2017-02-28 07:46:03 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    28 Febbraio, 2017
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Si sorride e, anche, si ride

Vien da dire che Vigata non ci sarebbe se non ci fosse Camilleri e infatti questa località siciliana è frutto di esclusiva fantasia, per quanto lo stesso narratore abbia voluto identificarla con Porto Empedocle. Certo, l’escamotage così architettato è stato un artificio che gli ha consentito di tessere una fitta trama di vicende, tutte di fantasia, partendo da un modesto, ma concreto piano di verità. A parte gli episodi del commissario Montalbano che si svolgono appunto a Vigata, è tutto un fiorire di racconti lì domiciliati. Al riguardo, mi viene in mente Gran Circo Taddei e altre storie di Vigata, ma anche Il birraio di Preston che è a mio avviso un autentico e irripetibile capolavoro. Ora, la creatività, ma anche la verve comica di Camilleri possono – e lo fanno – stupire per la genialità di alcune trovate, per una serie cospicua di trame mai uguali.
Anche in questi otto racconti ci si lascia volentieri trascinare in una Sicilia sì immaginata, ma che compendia perfettamente tutte le caratteristiche di una qualsiasi realtà abitativa dell’isola. Le avventure possono essere le più disparate e per divertire e interessare non devono essere necessariamente boccacesche, ma devono presentare un paradosso, un qualcosa spinto al limite in base al quale qualsiasi fatto di normale amministrazione deve diventare un evento unico e addirittura irripetibile. E’ questo il caso di Il morto viaggiatore, con un cadavere che non riesce a trovare pace, sbattuto di qua e di là e “ più vivo da morto che da vivo”. Ma anche Il palato assoluto pare l’esaltazione di ciò che non può essere, cioè la totale genuinità del cibo. Il racconto che però ha una valenza più generale, impietoso con un popolo che da sempre vive di piccole astuzie e soprattutto di sogni è L’oro a Vigata, un classico per certi aspetti di un modo di mettere in evidenza le nostre miserie, qui rese ancora più stridenti dall’epoca fascista. Come dicevo, sono otto racconti, qualcuno migliore degli altri, in cui a volte si sorride e altre, più raramente, in cui si ride, una risata amara , come quella che accompagna Lo stivale di Garibaldi, con il quale si comprende come la distanza dallo stato sia stata una costante dalla spedizione dei mille in poi. Lì infatti troviamo una
serie di incomprensioni, da parte di chi non vuole comprendere, che condanna la Sicilia a un isolamento senza appello e la protervia del potere centrale, rappresentata da un ottuso prefetto, non può che far sembrare simpatici quei carcerati che hanno deciso di prendere la via della libertà.
Insomma, si legge con piacere e, anche se non ci troviamo di fronte a un capolavoro, non possiamo che constatare l’apprezzabile svolgimento dei temi, pur confezionati in quel particolare siculo-italiano, che non è né l’una né l’altra lingua, ma solo il marchio di fabbrica di un sempreverde Camilleri.

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