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L'angelo nero
 
L'angelo nero 2016-12-07 06:56:11 Mario Inisi
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    07 Dicembre, 2016
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La trota che guizza tra le pietre mi ricorda la tu

Questi racconti sono molto suggestivi. Certi sono bellissimi, di una qualità letteraria difficile da raggiungere. Alcuni si connettono gli uni agli altri, altri no. Forse, pur nella bellezza delle pagine, alcune incredibili, l'intermittenza delle connessioni appare come limite, se vogliamo trovare un difetto a questa raccolta. Alcuni racconti restano in sospeso e lasciano il lettore con la sensazione di non avere in mano un pezzo del puzzle e quindi con il desiderio di voler capire senza avere sufficienti elementi. Per il resto i racconti sono sul male: il male è impersonato ora dal potere politico, ora dalla morte incombente, dalla vecchiaia, dalla scrittura che è menzogna e separa dalla vita, dall'amore perduto, lasciato andare e rimpianto, da una persona che può esercitare qualche potere sugli altri. Il racconto che ho preferito è il primo, che però è incompleto e insoddisfacente anche se molto suggestivo; e soprattutto il racconto "la trota che guizza tra le pietre mi ricorda la tua vita". Le corde migliori di Tabucchi sono la nostalgia e la malinconia e questo racconto è pieno dell'una e dell'altra e anche di un velo di ironia e forse di un tocco autobiografico nella descrizione del vecchio poeta: solo, solo con i suoi ricordi e i suoi morti fatica ad avere contatti reali con il presente e con le persone vere. Vuoi perchè le persone che conosce non gli piacciono, rimpiange un amore passato, si diverte a giocare con la bionda che ha davanti che non è niente per lui: è stupida, bella, vuole qualcosa, non ha quella piacevole intuizione del male delle persone maliziosamente intelligenti, non è l'altra donna, quella che ha lasciato andare via, lo tratta come se fosse il grande poeta che non sente di essere, lo asseconda nella finzione che è ed è stata finora tutta la sua vita perchè la scrittura, l'arte è finzione di cui chiedere perdono a se stessi. Il discorso sulla falsità della scrittura e sul peccato che si fa scrivendo (verso se stessi) è estremamente interessante.
Terribili le parole del Requiem di Verdi che il poeta canticchia tra sè "Confutatis maledictis" che sembrano sancire la doppia condizione di confusi e maledetti per i poeti come lui e gli scrittori in genere. Sembrano accompagnare il poeta in una atmosfera gotica verso la notte, la morte che lui sembra attendere lì solo nella sua casa, sicuro e fiero della sua colpevolezza di fronte a Dio, vuoi perchè poeta, vuoi perchè poeta mediocre che si finge grande, vuoi perchè ogni sua azione, parola è ormai la recita orgogliosa di una parte. L'uomo con il cappotto è teneramente lontano. Forse lui stesso ha voluto lasciarlo in un angolo della memoria per diventare il Poeta pur sapendo di non esserlo. E così ci sembra di vederlo boccheggiare tra le pietre bollenti come la povera trota. Eppure dipenderebbe solo da lui dire qualcosa di vero magari alla stupida bionda.

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