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Un racconto vale tutto il libro
Di Isabella Bossi Fedrigotti mi sono sempre piaciuti lo stile della scrittura, lineare, scorrevole, mai greve, e l’oggetto delle sue opere, che affonda sempre nella memoria della sua famiglia e di quell’ambiente, montanaro e agricolo al tempo stesso, tanto da costituire un piacevole ritorno alla natura e a cose vecchie, ma che suscitano interesse.. Negli ultimi anni, però, o per una precisa scelta, o perché l’autore non riesce a trovare in epoche passate materiale da costituire una valida trama per un romanzo, Isabella Bossi Fedrigotti ha provato a scrivere d’altre cose, più attuali e meno frutto di esperienze dirette. Ed è questo il caso di I vestiti delle donne, quattro racconti con un titolo che è un po’ fuorviante, visto che di abiti si parla solo nel primo (organza arancione). Devo purtroppo dire che i primi tre, benché ben scritti e anche piacevoli da leggere, mi hanno un po’ deluso, perché ho riscontrato una certa banalità che non è propria dell’autore. Donne sull’orlo di una crisi di nervi, donne sole che non sanno come trascorrere il Natale e anche un uomo, di una certa età, scapolo – ma che si atteggia a macho – che spia la vicina forse disponibile, ma che potrebbe rivelarsi una fin troppo facile conquista sono i personaggi che animano i primi tre racconti, di cui, se non è possibile definirsi soddisfatti, però nemmeno stizziti, insomma si lasciano leggere, senza che rimanga dentro qualcosa. La raccolta è salvata come qualità dall’ultimo (Giù in strada) che, guarda caso, pesca ad ampie mani nella memoria, con i ricordi di una Isabella bambina, a cui non è permesso uscire di casa, e che pertanto è costretta ad ascoltare i rumori della strada, a guardare dalla finestra, e così scopriamo un mondo che non è poi così vecchio, ma che oggi appare antico: le donne che a maggio vanno al rosario, i carri, con i frutti della vendemmia, che trainati dai buoi s’avviano alla cantina, un quadro quasi bucolico che stride con l’epoca attuale, dove lungo la via corrono le auto così veloci che spesso non si riesce a coglierne neppure il colore. Questo racconto è una piccola sinfonia, un lento adagio in cui immagini e sensazioni sono espresse in modo più che convincente, con quell’abilità che ho potuto apprezzare nelle sue opere migliori ( Magazzino vita, Il primo figlio, Casa di guerra, Di buona famiglia, Amore mio uccidi Garibaldi).
Da leggere, pertanto.