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Luci e ombre
Ho sempre stimato Fulvio Tomizza per le sue indubbie qualità di narratore, anche se la tematica ricorrente è sempre la sua terra d’origine, quell’Istria territorio di confine in cui si incontrano diverse nazionalità, a volte in pacifica coesistenza, altre invece fonti di attriti che appaiono insanabili. Peraltro, come sempre accade in un autore abbastanza prolifico, si alternano prove sicuramente riuscite, e al riguardo non si può fare a meno di ricordare lo stupendo La miglior vita, ad altre decisamente sotto tono. Nel complesso, comunque, ci si trova di fronte a uno scrittore più che eccellente , a una penna che ci ha lasciato opere che sicuramente non cadranno nell’oblio. Del Tomizza saggista non avevo conoscenza e pertanto mi sono accostato con curiosità a Alle spalle di Trieste, un libro che raccoglie numerosi articoli redatti nel corso di diversi anni e relativi appunto a quel territorio che si sviluppa dietro questa città, ultimo nostro porto a Nord sul mare Adriatico. È un ritorno agli antichi temi, a quella terra da cui l’autore è stato costretto a migrare, ma che è rimasta come una spina nel suo cuore. Alcuni potrei definirli di carattere letterario, come quando parla degli scrittori e poeti di questo vasto comprensorio, altri sono di carattere etnografico, oppure sociologico e anche politico, insomma un ampio ventaglio che ritengo che Tomizza abbia inteso proporre per meglio far conoscere agli altri, soprattutto agli italiani, i problemi di questa terra martoriata nei scoli da guerre e invasioni. Tuttavia, se anche l’offerta è ampia, si può notare la presenza di alti e bassi già riscontrabile nella sua produzione di narrativa, un po’ per il lungo arco di tempo nel corso del quale sono stati scritti, un po’ perché come saggista mostra diverse pecche fra le quali, fastidiosa, quella di ricorrere a frequenti digressioni, che gli fanno perdere il filo del discorso principale e che imbarazzano anche il lettore. Si tratta in buona sostanza di luci e di ombre, dove le prime sono poche e le seconde sono decisamente maggiori. Fra l’altro, sono un po’ tanti gli articoli dedicati a Trieste, la sua città di adozione, e in cui lui, abituato agli ampi spazi della campagna, non si deve essere trovato mai bene, perché questo traspare dalle righe, a volte venate da un vero e proprio astio. In contrapposizione c’è uno scritto sulla Mitteleuropa che da solo merita la lettura del libro, una disamina attenta, quasi puntigliosa che è in grado di fornire una visione esatta di questa vasta regione che raggruppava soprattutto quasi tutti i territori di cui era costituito l’impero austro-ungarico e che tanto ha dato alla letteratura; si sofferma giustamente sul collante che teneva unite tante nazionalità, quel senso dello stato comune poi franato miseramente e disgregatosi del tutto con la Grande Guerra.
Non posso dire, comunque, che come saggista abbia dato buona prova di sé, però il libro merita ugualmente e ritengo che costituisca un corredo indispensabile per conoscere e comprendere meglio questo grande scrittore.