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Le fragilità
Alla sua morte “Stefano Martella, direttore di una società di assicurazioni, il quale aveva soggiornato, peccato, lavorato e vinto la sua partita sulla superficie della terra per quasi cinquant'anni”, si ritrova in una splendida città: elegante, baciata dal clima favorevole, ordinata, evidentemente ricca, piena di palazzi e macchine di un certo sfarzo. Quando – dopo aver visitato la sua nuova e bellissima dimora – approda al circolo, il Martella ci trova persone amiche che hanno lasciato la vita prima di lui, degne e stimatissime. Cosa ci può mai essere in quel paradiso che non va? Eppure qualcosa c'è...
Il racconto si intitola “Nuovi strani amici”, ed è uno dei venticinque che compongono la raccolta “Paura alla Scala”. Paradigmatico di una fragilità umana che nel Novecento pochi hanno saputo raccontare come Dino Buzzati, giornalista e scrittore milanese.
L'uomo è doppiamente fragile: una volta per la sua condizione esistenziale, in quanto destinato a vivere (e morire) senza conoscere il suo Creatore né il motivo che giustifica la propria esistenza; la seconda per i suoi “lati oscuri”: quell'insieme di paure, egoismi, illusioni generate dalla mancanza di umiltà, prepotenze, che fanno dell'uomo – per quanto dominatore del mondo che abita – un essere profondamente imperfetto.
Questi sono gli uomini di cui narra Buzzati.
Abituati a giudicare gli altri, e d'improvviso sottoposti al giudizio del proprio passato, materializzatosi in una minacciosa forma animalesca (“I ricci crescenti”).
Vestiti di tonaca per servire il Signore, eppure incapaci di capire le conseguenze di un loro gesto impietoso, tanto che lo stesso Dio di punto in bianco li lascia in balìa della loro superficialità (“Racconto di Natale”).
Riuniti intorno al tavolino da té di una casa che sembra un bazar, tanto è piena di oggetti di tutti i tipi, tra i quali si aggira con inaspettata grazia uno strano animalino (“Spaventosa vendetta di un animale domestico”).
Uomini in ascolto dietro l'uscio di casa, paurosi ma che tacciono per la vergogna, quando si rendono conto che c'è una goccia d'acqua, una sola, che nel silenzio della notte fa rumore nel salire i gradini della scala condominiale, andando nel verso contrario rispetto a tutte le altre (“La goccia”).
E' vero che la seconda raccolta di racconti pubblicata da Buzzati non sembra raggiungere la qualità – e l'eterogeneità delle storie – che caratterizzava la precedente (dal titolo “I sette messaggeri”). Restano però quelle intuizioni assolutamente folgoranti – tipiche dell'autore – che regalano valore a storie apparentemente semplici. Una di queste è “Ho dimenticato”, dove un messaggero venuto da lontano per recare al principe una serie di importanti notizie si accorge di non riuscire più a ricordarle, e resta per mesi e mesi in giro per la città, nella quale pazientemente si attende che egli riacquisti memoria; nella paura di non saper riportare alla mente le parole di quell'unico compito per cui si è stati prescelti, si materializza un'insoddisfazione destinata ad essere eterna... Come in molti racconti di Buzzati, dove il tempo non è più unità di misura dell'età umana e della vita delle creature, bensì della loro infelicità.
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hai scritto una recensione davvero interessante e di pregio per chi si volesse avvicinare all'autore
grazie Rollo!
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