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Il confine umano
Nel 1968, quando decide di riunire nel volume “La boutique del mistero” quelli che ritiene i suoi più bei racconti, Dino Buzzati ne sceglie sei dalla prima raccolta, “I sette messaggeri” (edita nel 1942).
Tra questi, “Sette piani”.
Ritenuto uno dei migliori racconti dell'autore milanese (Ugo Tognazzi ne trarrà un film), esso narra di Giuseppe Corte, che decide in piena volontà e fiducia di sottoporsi ad un check-up generale in un modernissimo ospedale, talmente all'avanguardia da essere diviso non per reparti ma per gravità delle patologie: all'ultimo piano, il settimo, ci sono pazienti che neanche possono dirsi malati, ma soltanto osservati in attesa di essere dimessi al più presto. Man mano che si scende verso il basso la situazione dei degenti si aggrava, sino ad arrivare al primo piano, dove è assente ogni rumore e le persiane e il fogliame esterno chiudono ineluttabilmente l'ingresso alla luce del sole. E' su quelle finestre che si fissa lo sguardo timoroso di Corte, infastidito dal fatto di non essere stato mandato a casa immediatamente dopo le analisi. Proprio lui, sano come un pesce, costretto al settimo piano! Neanche a dire come la prende quando, pochi giorni dopo, un infermiere gli chiede la cortesia di traslocare al piano di sotto, per consentire ad una madre di avere a disposizione la camera accanto a quella dei propri bambini...
Meno arguto, ma sorprendentemente doloroso, è “Il mantello”. Indescrivibile è la gioia della madre di Giovanni quando, dopo anni di assenza per via della guerra, se lo vede d'improvviso riapparire sulla porta di casa, in una divisa pesante e impolverata. Inspiegabilmente il soldato sembra non partecipare a quella festa, che coinvolge anche i fratelli Anna e Pietro, e se ne resta sulla sedia di cucina: tiene a ricordare che potrà fermarsi per poco, e chiede delle novità degli ultimi anni per fingere un interesse più che per dimostrarlo. L'incontro diventa per la madre sempre più penoso, mentre cerca di capire chi sia quel commilitone che attende il figlio all'esterno, restando ostinatamente fuori di casa, “in mezzo alla polvere, come pezzente affamato”...
Dopo la pubblicazione de “Il deserto dei tartari”, avvenuta due anni prima, “I sette messaggeri” consacra definitivamente la fama di Dino Buzzati.
E' la sua prima raccolta di racconti. Eppure è già indelebile lo stile immediato ed elegantissimo; ed è in tutto presente la tematica che caratterizza il lavoro dello scrittore: l'ineluttabilità del destino individuale. Una ineluttabilità che non significa necessariamente sconfitta: ad essa è destinata l'uomo ostinato a coltivare le proprie illusioni, non quello che si rende perfettamente conto del proprio stato.
Il livello del volume è altissimo, e genera il dubbio che Buzzati sia ancor più a suo agio nello spazio del racconto che non in quello del romanzo. Oltre alle due novelle illustrate sopra, ne andrebbero ricordate ancora tre fra quelle che Buzzati scelse per “La boutique del mistero”: l'inutile lotta contro il tempo de “I sette messaggeri” (che dà il titolo all'intera raccolta in commento), il sussulto di dignità del vecchio e stanco brigante Planetta nel tentare “L'assalto al grande convoglio”, l'amara scoperta di un povero mercante in “Una cosa che comincia per elle”.
Allo stesso livello almeno altre cinque storie: l' “Eleganza militare” del battaglione che marcia incontro al proprio disfarsi; l'avvicendarsi delle generazioni umane nel “Temporale sul fiume"; la speranza riposta da un'umile famiglia contadina ne “Il memoriale” redatto dal figlio infermo; “Il dolore notturno” portato in una villetta di periferia da una angosciosa e continua apparizione; le “Notizie false” ma pietose recate da un podestà ai propri cittadini, per nascondere loro una verità troppo dura sui giovani compaesani partiti per il fronte.
“Camminammo ancora verso oriente, laceri e assetati, attraverso il deserto colmo di agguati. Per lo più si cantava o discorrevamo di cose buone ed amate, della nostra terra lontana, del mare, di certi giardini. Il tintinnio delle gavette era finalmente taciuto, si udiva soltanto il suono ritmico dei passi. Negli occhi di molti si era accesa la febbre, altri portavano fasciature di piaghe, dietro a noi sul terreno restavano brandelli di tela e di cuoio. Ma io vedevo attorno a me soldati di statura grandissima, con uniformi ricamate d'oro, fasce di mille colori, lance e sciabole di argento puro. Essi guardavano dinanzi a sé, sorridendo, e le loro barbe luccicavano al sole.”
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Commenti
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Molto bella la tua recensione, complimenti.
Saluti
Riccardo
Ferruccio
Il film è proprio quello, Ferruccio: io in verità non l'ho visto, ma trovo la parola da te usata ("surreale") quella giusta per identificare questo racconto, e non solo, di Buzzati.
Laura, sono d'accordo con tutto quello che dici. Buzzati è anche per me uno dei preferiti: da quando l'ho "incrociato", in età adolescenziale, non l'ho più abbandonato.
con Buzzati mi sono fermata a "Il deserto dei tartari" , romanzo emblematico stupendo
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