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La memoria di ciò che è stato
Mario Rigoni Stern non ha mai scritto romanzi frutto di esclusiva fantasia; nei suoi libri non ci sono storie e personaggi inventati, c’è invece sempre lui, capace con una creatività non disancorata dalla realtà di scrivere pagine e pagine affascinanti, benché l’argomento spesso e a prima vista possa apparire banale. Così non si troverà mai una passeggiata sulla neve o un’alba sull’altopiano, bensì si potrà leggere di “quella” passeggiata sulla neve o di “quella” specifica alba sull’altopiano, in quanto entrambe frutto di un’esperienza effettivamente maturata e che l’autore ricrea arricchita dalla sua straordinaria capacità di saper osservare.
Ovviamente ciò si verifica puntualmente anche con i racconti di questa raccolta, che presenta una doppia anima, cioè quella della guerra e quella della natura, che a volte si alternano, mentre altre finiscono con l’incontrarsi, fondendosi in uno scritto che ben in equilibrio le ricomprende.
In ogni caso sembrano tante pietruzze pazientemente raccolte e accostate che vanno ad arricchire, come un mosaico, il mausoleo della memoria edificato con pazienza e con passione da Mario Rigoni Stern.
Ci sono tanti personaggi protagonisti, che a prima vista possono sembrare insignificanti e che invece hanno un peso, nemmeno di poco conto, come Romedio e la sua mula che, durante la ritirata in Russia, portano in salvo decine di feriti. Ma sono anche le piccole cose, spesso da noi volutamente ignorate, che vengono fatte emergere prepotentemente per rivendicare la storia in cui sono entrate, come nel caso della bottiglia di grappa, nascosta nel 1917 in una trincea, e ritrovata solo dopo una trentina di anni. La capacità di osservazione è tale che persino la dura realtà del lager viene smussata da chi sa guardare la natura con animo poetico. Al riguardo il ritorno dopo molti anni dalla fine della guerra nel luogo di detenzione, accompagnato dalla moglie e dal figlio, che prudentemente stanno in disparte, sono fra le pagine più belle. Ora non ci sono più baracche, torrette e reticolati, ma solo campi verdeggianti, in cui Stern, con i pochi riferimenti sopravvissuti, fruga nella memoria per rivedere dove si trovava il suo tavolaccio, o per ripercorrere parte della strada che ogni mattina lo portava al lavoro forzato. Il contrasto fra ciò che c’è ora e ciò che c’era è reso in modo stupendo e sembra di vedere l’autore teso nello sforzo di ricostruire quel suo passato. E poi ci sono gli amici: Nuto Revelli, ma soprattutto Primo Levi, a cui scrive una lettera di sublime bellezza all’indomani della sua tragica scomparsa.
Sì, Mario Rigoni Stern è un grande scrittore, uno dei più grandi del nostro paese, sincero fino all’estremo; con questa raccolta ci consegna il suo testamento di uomo che, nei travagli di una vita massicciamente influenzata dalla guerra, ha saputo trovare una via di fuga dall’orrore e con essa è pervenuto a un senso umano, ma anche mistico, dell’esistenza. In queste pagine che vanno vestendosi di toni crepuscolari c’è tutta la consapevolezza che il tempo sta per finire, ma non ci sono né dolore, né rabbia, anzi c’è una profonda serenità, proprie di chi, soddisfatto del suo lungo cammino che volge al tramonto, sa che la prossima alba sarà la più luminosa e che porterà un’infinita tanto attesa pace.
Imperdibile.