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Reportage di anime
“Reportage di anime”. Il titolo non è mio: così sono stati definiti alcuni scritti di Anna Maria Ortese, in particolare i bellissimi articoli scritti nel 1954 per L'Europeo dalla Russia, articoli che alimentarono tante polemiche, con la Ortese accusata di essere allo stesso tempo troppo severa e troppo indulgente verso la Russia di Stalin, e che segnarono un progressivo distacco della scrittrice dal Partito Comunista Italiano e dalle donne militanti ("tornai dalla Russia con dei dubbi sulla natura femminile, da allora le donne mi sono piaciute di meno”)
Silenzio a Milano, raccolta di articoli e racconti scritti alla fine degli anni ’50 è davvero un "reportage di anime". Che si parli della Stazione Centrale, vista come porta di comunicazione con le moderne divinità della produttività e della laboriosità alienante, tempio in cui si celebrano rinnovati sacrifici umani in omaggio al Vuoto, al Brutto e all’Inutile, o dei ragazzi disadattati di Arese, malinconici prigionieri dell’attesa di un focolare domestico che da tempo li ha esclusi, la sostanza non cambia.
Documentandomi un po’ sull’autrice, anche sulle opere che non conosco, ho appreso che il silenzio riveste una particolare importanza per la sua poetica, a cominciare dalla poesia d’esordio “Manuele” scritta per il fratello marinaio, morto al largo della Martinica.
In Silenzio a Milano ci sono sette articoli e racconti e almeno altrettanti tipi di silenzio. In “Una notte alla stazione” c’è il silenzio che scende su i luoghi della produttività meneghina e come la nebbia li avvolge, dopo che la città ha consumato il suo quotidiano pasto di vite umane. “I ragazzi di Arese” ci parla del silenzio di chi non ha voce per farsi sentire, o di chi può solo urlare il proprio dolore dietro una spessa barriera di vetro. “Locali notturni” evoca il silenzio che ci sorprende a festa finita, quando gli orchestrali se ne vanno, la malinconia di tutti i giorni resta e misuriamo quanto effimero sia ogni tentativo di evasione. “Le piramidi di Milano” rivelano il silenzio di morte che abita lo spazio riservato a conservare l’ordine e il rispetto della Legge. Con “La città è venduta” partecipiamo al silenzio di chi non sa rispondere a domande che sarebbe meglio evitare, fuggire, dimenticare. Con “Il disoccupato” scopriamo il silenzio cupo e ostinato dell’efficienza che respinge coloro che non si adeguano e non si adattano ad essere trasformati in “cose”, senza occhi per guardare e cuore per vivere (eppure il milanese Berto, così innocentemente fiero delle vendite di elettrodomestici e il calabrese Antonio, inebetito dalla sua incapacità di integrarsi, rappresentano due modi diversi di essere disgraziati, uniti già dal loro primo incontro in sanatorio). E infine “Lo sgombero” ci mostra il silenzio di chi scopre con sgomento che il mondo non sa cosa farsene dei valori e delle qualità umane, anzi, sono proprio i sani principi e i buoni valori che rendono inadeguati e inadatti a vivere.
La Ortese ha un radar speciale per cogliere frammenti di varia umanità nascosti in un gesto, uno sguardo, una pausa, un’increspatura della voce o nelle rughe che attraversano un volto. Poi ricompone tutti i frammenti per ottenere storie vive, reali o di fantasia, ma sempre autentiche.
Quando scrive come giornalista, illuminante a questo riguardo il pezzo sulla Stazione Centrale, “porta del lavoro, ponte delle necessità, estuario del sangue semplice”, la Ortese ci offre uno spicchio di realtà parziale e personalissimo, su cui si può anche dissentire nel merito, senza che questo impedisca di rimanere incantati dall’efficacia e dalla bellezza della sua rappresentazione.
In un primo tempo si può dubitare che sacrifichi la verità in omaggio alla bellezza, ma poi ci si convince che ciò che scrive è autentico (che è già una buona approssimazione al vero) in quanto intrinsecamente bello.
Le ideologie, gli stereotipi, i freddi numeri che possono essere usati per dire tutto e il contrario di tutto, si sbriciolano davanti alla stupefacente capacità della Ortese di cogliere l’essenziale che, se non proprio invisibile agli occhi come sosteneva Antoine Saint Exupery, certamente non si lascia facilmente catturare da microfoni, telecamere e registratori.
L’espressione “reportage di anime” mi sembra molto calzante per Silenzio a Milano proprio perché rende un l’idea di ciò che distingue questi scritti da un’atmosfera che altrimenti sembrerebbe di stampo “neorealista”. La Ortese va invece molto oltre la rappresentazione di un contesto sociale e dei tipi umani che lo caratterizzano.
L’impressione è che la sua forza stia soprattutto nella curiosità e nell’empatia con l’essere umano e nella sincerità dello sguardo con cui cerca di comprenderlo, indipendentemente dalla posizione sociale, dal ruolo professionale, dalla lingua, dalla latitudine, dalla cultura.
Per dirla con Quasimodo:
“Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di Sole:
ed è subito sera”
E per raccontare i tanti modi di vivere questa solitudine e questa brevità, la Ortese usa sia la cronaca giornalistica, (nella quale a ben vedere non ci parla veramente di Napoli o di Milano, della Russia o dell’Italia, ma sempre e soltanto di quella solitudine e di quella brevità) sia il racconto.
Anni dopo, nelle opere successive, introdurrà anche l’elemento fantastico, tanto da far parlare qualche critico di “realismo magico”, ma questo è un nuovo capitolo che anch’io devo ancora iniziare.
Voglio infine riportare qui una citazione che per la sua lunghezza non ho potuto riportare nello spazio delle "Frasi più belle". E' uno dei passaggi conclusivi dell'ultimo racconto (Lo sgombero) e dunque si tratta probabilmente di un'ideale chiusura di tutta la raccolta. Acoltate:
"E mentre seppe questa cosa, che il rispetto era la cosa più grande che si poteva offrire agli uomini, seppe anche che lui e Masa e tutti gli uomini e le donne come lui e Masa, erano uomini e donne senza peso, senza patria, senza valore, perché conoscevano il rispetto. Erano perduti perché non volevano combattere contro l’uomo, in un mondo dove i più alti monumenti erano fatti con le ossa e il sangue degli uomini, e anche i vestiti erano fatti con la pelle dell’uomo, e anche i piatti più delicati erano preparati con qualcosa ch’era sottratta alla dignità dell’uomo. E le parole stesse, le grandi parole di pietà, di coraggio, di amore, quelle parole che andavano verso l’uomo come una luce, come un fiotto di musica e gioia, nascondevano la debolezza e la cupidigia di chi le pronunciava, l’abitudine alla menzogna, al compromesso, alla rapina".
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Non so se la segnalazione che hai raccolto riguarda solo il libro o anche l'autrice. Nel caso non avessi ancora letto nulla di lei, ti segnalo Il mare non bagna Napoli (anche qui una raccolta di articoli e racconti dedicati a questa città). che suscitarono aspre polemiche quando uscirono. Un testo che ti guida nelle molteplici sfaccettuature di questa scrittirce è Anna Maria Ortese di Monica Farnetti, edito da Bruno Mondadori. comprende biografia, blibliografia ragionata e dizionario dei temi, fatto molto bene. Io stesso che sono un lettore lento e disordinato, non ho ancora letto tutto ciò che avrei voluto di lei.
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Non conosco il libro ma, da come ne parli, penso meriti di essere riscoperto (o semplicemente scoperto: in questo caso, per lettori come me).