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"Tra donne sole"
Libro del 1949. Vinse il Premio Strega nel '50, anno in cui l'autore si tolse la vita.
"La bella estate" di C. Pavese contiene tre brevi romanzi. Ognuno di essi meriterebbe un discorso a sé. Per questo, qui mi limito ad esaminare esclusivamente "Tra donne sole" (secondo me, il più bello), da cui M. Antonioni ha tratto il film "Le amiche".
Siamo nella Torino del dopoguerra. Il visitatore che giunge ora in questa città di nordica bellezza, passeggiando sotto i portici del centro, probabilmente non ha difficoltà ad immaginarla nei primi anni della ricostruzione.
Il mondo, che anima il romanzo, è quello della gioventù borghese (ma priva degli elementi 'virtuosi' della borghesia), di cui emerge un ritratto sconfortante.
Pavese conosceva sicuramente la 'gioventù bruciata' della letteratura americana, letteratura che amava e traduceva nella nostra lingua. Da essa ha probabilmente tratto qualche suggestione nel delineare le figure qui rappresentate.
I personaggi che animano la scena sono, però, soprattutto donne: gli uomini, poco significativi, rimangono sullo sfondo. Tra esse, Rosetta compare nelle prime pagine, distesa su una barella, in un albergo, ancora con l'abito da sera di tulle celeste, salvata da un tentato suicidio.
Un'altra, torinese di nascita e di umili origini, giunge da Roma per aprire in città un negozio 'di moda': è l'unica a praticare un'attività lavorativa; ma le difficoltà della vita hanno contribuito a renderla di una tenacia un po' disumanizzante, il pegno pagato per raggiungere il 'successo' (termine che la nostra contemporaneità ha reso alquanto volgare).
Le altre figure sono giovani donne (ma non più ragazzine), abbastanza abbienti da permettersi di non lavorare: trascorrono il tempo tra feste, chiacchiere e scorribande in auto; frequentano gente che si occupa di attività artistiche a tempo perso (con quale talento non è dato sapere).
Nel loro scostante modo di essere, paiono fondamentalmente creature ferite, donne orgogliose e disperate, indurite dalla vita e corazzate; ma la loro metaforica corazza è ,nel contempo, difesa e sconfitta. Non sono donne 'liberate'; la loro 'emancipazione' consiste nel far tardi la notte, fumare, frequentare uomini; paiono aver assorbito il peggio del mondo maschile.
Queste signore poco amabili forse rappresentano modelli femminili interiorizzati dall'autore (se così fosse, capiremmo meglio il suo difficile rapporto con le donne, senza per questo pretendere di psicoanalizzare 'a distanza' lo scrittore).
Queste figure femminili, sempre in compagnia, sono fondamentalmente "sole", artefici e vittime della loro carenza di valori e dell'incapacità di vivere e comunicare in modo autentico.
Solo Rosetta appare indifesa, fragile, non coinvolta nel profondo in tale modalità di vita. Questa emarginazione (estraneità) potrebbe costituire la sua salvezza. Ma, forse, proprio in lei l'autore si è identificato nel "vizio assurdo" di non voler vivere più.
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Poi, su Pavese, che conosco poco ma che considero autore affascinante (più per nostalgie di gioventù che per recenti frequentazioni): spesso le fortune letterarie di un autore sono questione di tempo, di ritmo, come per la musica. Il nostro tempo e quello di Pavese sono fatti per non incontrarsi mai. Come ballare seguendo due musiche diverse. Per questo tengo ancora un buon numero di volumi di Pavese in evidenza nella mia libreria: per concedermi una pausa quando il nostro tempo, la nostra musica, mi saranno venuti un po' a noia.
Complimenti per la recensione.
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