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Una raccolta inferiore alle aspettative
Mi rincresce dover constatare come l’autore del bellissimo romanzo Il giudizio della sera non si riconfermi per livello qualitativo con questa raccolta di racconti intitolata Non si fa mai giorno. Preciso, peraltro, che ancora una volta ho notato la notevole difficoltà dei narratori italiani di scrivere delle prose brevi, quali appunto novelle o racconti, che siano in grado di appassionare il lettore; ciò vale soprattutto per i contemporanei, perché in passato, sia pur sporadicamente, ci sono stati scrittori validi in questa tipologia e al riguardo basti pensare a Verga e D’Annunzio, e più recentemente a Sciascia.
Nel caso specifico si tratta di cinque prose in cui Addamo ha voluto profondere numerosi pensieri filosofici, anzi troppi e questo, in considerazione anche della relativa brevità degli svolgimenti, ha finito con il rendere greve e spesso poco chiara la narrazione. Inoltre, alcuni hanno le caratteristiche dell’incompiuto, perché anche il racconto, come il romanzo, nel suo svolgimento deve avere un inizio e una fine logica, e non un’interruzione che lascia stupiti e di cui si cerca inutilmente la ragione.
Tuttavia, almeno nelle intenzioni, destano interesse, ma per potersi appassionare un po’ e cercare di comprendere occorrono sforzi notevoli per un lettore medio come me. Se è vero, infatti, che chi legge deve cercare di entrare nello spirito dell’autore, quest’ultimo deve fare in modo di non erigere un muro e, se non di spalancare una porta, almeno di socchiuderla. Prendiamo il primo, La mano tagliata, storia di un giudice autorevole, rispettato e temuto che si trasforma, inconsapevolmente, in un feroce assassino, un caso di sdoppiamento della personalità che di per sé dovrebbe attrarre, ma che Addamo infarcisce di tante e tali riflessioni filosofiche e psicologiche che fanno perdere il filo e fanno procedere a fatica nella lettura. Nel secondo, Noia a Catania, per fortuna l’autore ritorna alle antiche abitudini e fornisce un quadro esemplare di un gruppo di amici non più giovani che arrancano nella vita senza meta e volontà, se non quella di ripetersi, pervenendo a una noia perniciosa. Nel terzo, Fine di una giornata, il tutto è incentrato sul particolare cognome del protagonista, Ficarotta, intorno al quale, ironia a parte, è intessuta una vicenda un po’ troppo artificiosa , strappando al massimo un mezzo sorriso, e così la narrazione si trascina stancamente fino alla fine. Il quarto racconto, Il muro davanti a noi, imperniato sull’incontro di due coniugi per chiedere davanti al magistrato la separazione consensuale, avrebbe potuto essere di tutto rilievo nella descrizione delle ore immediatamente successive della moglie se non fosse scivolato in certi aspetti erotici francamente squallidi. Dell’ultimo, Il cuore della legge, c’è da dire ben poco, nel senso che l’atteggiamento del cittadino di fronte alla legge, oggetto di tante trame, qui sembra divergere dalle intenzioni iniziali e inoltre il brano si conclude affrettatamente, quasi che l’autore, partito di gran carriera, avesse esaurito le sue forze e la creatività troppo presto.
Un solo racconto valido, a mio avviso, su cinque è francamente poco, ma soprattutto resta alla fine una profonda delusione perché, considerato il valore dell’autore, le aspettative, almeno in partenza, erano senza dubbio superiori.
Tuttavia, e proprio per quell’unica prosa assai bella che ho citato, salvo, se pur a denti stretti, l’opera, tanto che non mi sento di sconsigliarne la lettura, pur tenendo ben presente i limiti che la caratterizzano.