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Napoli è una bella femmina che nessuno ama più
“Novanta” ci racconta una Napoli indolente e vanitosa, capace di crogiolarsi nella sua mediocrità, forte del credito che vanta con la storia e soprattutto con l’arte. Una Napoli fatale come una bella femmina trascurata, e fatalista come un accanito giocatore del Lotto. Quella che emerge dalle pagine di “Novanta” è una città consapevole delle sue ferite ma anche della sua grandezza, che non si nasconde ai giudizi altrui, che vive di opere d’arte, tradizione, camorra e immondizia ma che in fondo riesce ancora a credere in un futuro migliore.
Il quadro che si dipinge lentamente davanti agli occhi del lettore è aspro, spigoloso, quasi crudele. Con l’ironia intelligente che lo ha sempre contraddistinto, Lorenzo Marone punta il dito contro i mali della sua città, senza fare sconti a nessuno. Ne emerge il ritratto di una Napoli agrodolce, dove due ragazzi che progettano le vacanze in Grecia muoiono soltanto perché si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato, mentre due loro coetanei vengono rapiti dalla maestosità di capolavori artistici di ineguagliabile bellezza. Ma per chi sa leggere tra le righe, in questo mare di immondizia, superstizione, violenza e sopraffazione, tra i panni stesi ad asciugare nei vicoli e le corse in motorino senza casco, è inevitabile venir colpiti dritti al cuore dal grande amore che traspare dal racconto di Lorenzo, un amore che sembra essere quasi rassegnato, perché se nasci e vivi a Napoli non puoi non amarla, nonostante tutte le sue brutture e i suoi difetti.
Di mio posso aggiungere che ancora una volta Lorenzo si dimostra all’altezza delle aspettative, arrivando addirittura a superarle con agilità; non era semplice raccontare Napoli senza cadere negli stereotipi e nei cliché. Lui, come sempre, ci è riuscito alla grande.